Non ci sono dubbi, la globalizzazione ha portato enormi benefici. Lo sostiene Christine Lagarde, direttrice del Fondo monetario internazionale. Cifre alla mano, spiega che il fenomeno ha migliorato gli standard di vita e ridotto il numero di poveri nel mondo: «Se i confini fra i Paesi si chiudessero, il 10% dei consumatori più poveri perderebbe il 63% del suo potere di acquisto, mentre i ricchi solo il 28%».
A smorzare gli entusiasmi ci pensa invece Serge Latouche, economista e filosofo, padre della teoria della decrescita: «Con la globalizzazione siamo finiti in un sistema nel quale c’è la guerra di tutti contro tutti; è l’omni-mercificazione del mondo». Dunque globalizzazione sta diventando sinonimo di globalismo, dove il mercato mondiale si sostituisce all’azione politica e gli aspetti ecologici, sociali, culturali della globalizzazione stessa, confinati alla sola dimensione economica.
Dove sta, allora, la verità di questi tempi complessi? «Abitiamo una società mondiale, dove nessun paese, nessun gruppo può permettersi di isolarsi dall’altro – spiega Paolo Frizzi, docente di Religioni e Processi Globali presso l’Istituto Universitario Sophia e coordinatore del nascente Centro “Sophia Global Studies” (SGS), che verrà inaugurato il 23-24 ottobre prossimi nell’ambito dell’apertura del nuovo anno accademico IUS –. Sono numerose le etichette utilizzate per descrivere questo tempo: età dell’incertezza, mondo multipolare, età di transizione, epoca post-globale: siamo nel mezzo di un passaggio incerto, transitorio e molteplice».
«Sophia Global Studies nasce con l’intento di fornire strumenti di comprensione, gestione e trasformazione di processi e relazioni globali – aggiunge Pasquale Ferrara, ambasciatore d’Italia in Algeria e presidente del nuovo Centro di ricerca –. È il frutto di dieci anni di esperienza accademica dello IUS e nasce con l’obiettivo di formare una nuova generazione di leader capaci di affrontare la complessità e motivati a operare per il dialogo e la pace».
Qual è lo “stato dell’arte” delle relazioni internazionali nell’attuale contesto mondiale globalizzato?
Pasquale Ferrara: Le immagini della torre e del ponte ben rappresentano le relazioni internazionali nel mondo contemporaneo. La torre è la quintessenza del riflesso difensivo, dell’“arroccamento”, del senso dell’assedio e del timore dell’invasione. Il ponte, al contrario, per definizione unisce due territori che in sua assenza rimarrebbero divisi, delimitati da un fiume o da un fossato che altrimenti sarebbe ben arduo varcare. Guardando alla complessità che costituisce la cifra distintiva del mondo in cui viviamo, c’è da chiedersi se queste due immagini siano ancora adeguate. Il mondo contemporaneo assomiglia sempre più a una struttura aperta, un’agorà, una piazza, ma possiamo affermare che è anche il luogo dove si forgiano una nuova identità comune, un nuovo senso di mutua appartenenza planetaria?
E i dubbi aumentano anche in seguito agli evidenti errori, frutto di un globalismo semplificato e per questo si rivendica una “politica della globalizzazione” capace di rispondere a emergenze ambientali e sociali non più governabili solo a livello nazionale…
Pasquale Ferrara: C’è bisogno di un nuovo progetto politico internazionale, un “new deal” globale, una nuova alleanza più inclusiva, pluralista, paritaria, che vada ben oltre le alleanze militari ed economiche esistenti. La nuova governance globale di cui tanto si parla, ma di cui sinora poco si è visto, se non progetti neo-egemonici, può rappresentare un’occasione unica. Purché passi dalla dimensione globale a quella davvero mondiale o universale. Ponendo l’accento sui “Global Studies”, Sophia offre a un pubblico più ampio di studenti e professionisti gli strumenti per vedere il mondo non dall’alto o dal basso, ma dal di dentro; da un punto di osservazione privilegiato e poco praticato e cioè quello che si pone in mezzo agli uomini e alle donne di questo tempo, sostenendoli in un’azione comunitaria globale, a partire dal proprio quartiere.
Quali sono i parametri che caratterizzano questa complessità d’inizio millennio e qual è il valore aggiunto di Sophia Global Studies nella loro comprensione e gestione?
Paolo Frizzi: Il valore aggiunto sta nel suo essere espressione della storia e della metodologia che da 10 anni è espressa e applicata a Sophia, che è diventata un vero laboratorio di mondialità. Oggi, SGS raccoglie quei percorsi di ricerca e formazione che sono nati da questo humus che negli anni hanno iniziato a decifrare i tratti della complessità globale. In particolare, durante l’inaugurazione si metterà il focus su due temi che ci sembrano particolarmente critici e puntuali: lo stato dell’integrazione europea alla luce delle trasformazioni in atto a livello continentale e oltre, e il ruolo inedito che le religioni oggi rivestono all’interno della sfera globale.
Sophia Global Studies sembra voler dire ai professionisti, ai ricercatori, agli accademici di oggi che non è sufficiente un percorso di studi incentrato unicamente sull’iper-specializzazione, ma occorre aprire lo sguardo su orizzonti più ampi e molteplici. Con quali strumenti SGS prepara ad affrontare tale orizzonte?
Paolo Frizzi: Gli strumenti sono quelli espressi dalla cultura dell’unità, innanzitutto uno sguardo integrale, che sia in grado di raccogliere attorno ai tavoli di lavoro le principali letture prodotte dalle diverse discipline. Poi, coinvolgendo le risorse prodotte dai diversi contesti culturali che stanno reagendo alle trasformazioni in atto con accenti diversificati. Infine, rovesciando il paradigma della lettura globale e attivando un processo di analisi che parta dal basso. In tal senso, il centro internazionale di Loppiano garantisce un punto di vista agevolato, in cui è quotidiana l’applicazione e l’esperienza di un modello relazionale capace di attrezzare giovani e adulti dei vari contesti sociali, culturali e religiosi degli strumenti necessari per essere propulsori di dialogo e di unità nel mondo.
Fonte: Città Nuova
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