Pio e Madeleine Mulamba vivono in Italia da oltre 30 anni. Sono una famiglia della diaspora congolese, 2,7 milioni di persone in tutto il mondo per le quali il Paese d’origine non è un ricordo lontano, ma una realtà viva e presente per cui vivere e lottare: «Abbiamo lasciato il Congo, ma il Congo non ci ha mai lasciato. Quando il Congo soffre, noi soffriamo con lui», dichiarano.
Cosa sta succedendo in Congo? Anni di tribolazione, massacri, le violenze nel Kasai, all’Est del paese e su tutto il territorio nazionale; incertezze su tutti i piani, hanno investito la RDC dagli anni della sua fondazione fino ad oggi. Il fattore odierno più evidente è l’instabilità politica legata alla permanenza dell’attuale presidente Kabila al Governo, nonostante l’accordo di San Silvestro, firmato nel dicembre 2016, in cui si prospettava una alternanza democratica attraverso un governo di transizione e le elezioni nel corso del 2017. L’anno è finito, le elezioni non ci sono ancora state e la tensione è altissima. La Chiesa, cattolica prima, e poi tutte le altre Chiese presenti in Congo, le Associazioni dei laici, hanno giocato un ruolo importantissimo a sostegno della popolazione. “Lo scorso 31 dicembre c’è stata una manifestazione a Kinshasa, indetta proprio dalla Chiesa: bombe lacrimogene, morti, chiese e biblioteche bruciate e saccheggiate, sacerdoti arrestati…”, ricorda Madeleine, mediatrice culturale allo sportello immigrazione del Comune di Roma e vice Presidente di Tam Tam d’Afrique Onlus.
Ma il problema del Congo non è solo Kabila. La gente fugge dai villaggi: in questo momento tanti sono in rotta verso l’Uganda attraverso il confine nord-orientale attraverso il Lago Albert, su imbarcazioni di fortuna. Spiega ancora Madeleine: «I militari occupano le case, ammazzano le persone, spargono terrore. Le donne, lo sappiamo già… Sembra che non ci sia soluzione. D’accordo, c’è il coltan , il cobalto e altri minerali preziosi, ma perché ammazzare la povera gente? Il Paese è diviso – 26 province anziché 11 – o peggio ancora occupato: militari sudanesi, ruandesi, che portano le loro famiglie e addirittura il bestiame. Fingono di essere allevatori che vengono perché gli animali hanno bisogno di mangiare: sono invece militari travestiti da agricoltori. Si tratta di un piano di balcanizzazione e occupazione del Paese ben studiato ed architettato a tavolino. Lo sterminio di tutto un popolo. Si stimano circa 12 milioni di morti dal 1998…».
Lottare per i propri diritti, per la sovranità del Paese. È questo l’obiettivo principale dei congolesi che si ribellano. È qui la novità, la gente “si è messa in piedi” (“Débout congolais” è lo slogan che si sente nelle varie manifestazioni). Sorgono movimenti di lotta civile non violenta, animati soprattutto dai giovani, come Filimbi che in swahili significa Fischietto, e Lucha: Lotta per il cambiamento. Le due ultime manifestazioni in Congo sono state il 31 dicembre e il 21 gennaio, e si chiede adesso la dimissione di Kabila e la Pace su tutto il territorio nazionale come premessa ad ogni premessa: elezioni e governo di transizione.
E fuori dal Congo? La diaspora ha un ruolo politico? «Ci sono state manifestazioni a Parigi, Bruxelles, Canada, Londra, Svizzera, dove la diaspora si è mossa. Anche la comunità congolese italiana si è data appuntamento a Roma l’11 febbraio. In alcuni Paesi, come Canada, Belgio, Londra, i congolesi sono molto organizzati, ci sono persone impegnate che si definiscono “combattenti”. La loro voce ha importanza in Congo. Il programma e le decisioni vengono condivise. La diaspora è collegata con le associazioni giovanili di lotta per la libertà e la sua voce è sentita. L’idea fondamentale che vogliamo fare passare è che il popolo si deve unire. Ci saranno ancora manifestazioni per la liberazione del Congo: il 21 di questo mese la CENCO (Conferenza Episcopale Nazionale Congolese) ha promosso una manifestazione pacifica, a Firenze a marzo ci sarà una fiaccolata. Tutta la diaspora congolese si sta organizzando per azioni future».
C’è un ruolo particolare delle donne? Perchè è così importante la loro voce? «Le donne della diaspora hanno realizzato un video, in francese e anche in lingue congolesi (lingala, swahili, kikongo e tshiluba). È stato un gesto molto importante, per chiedere il rispetto della pace, della vita, per gridare che i nostri figli stanno morendo. Storicamente nel Congo, ogni volta che c’era qualche vento di guerra, le mamme si mettevano in piedi, facevano una marcia pacifica con scongiuri, e le cose si calmavano. Avevano un grande potere, collegato anche al ruolo dei capi tribù, che sono stati tutti sterminati e sostituiti dai giovani corrotti e corruttibili. È un modo di ritrovare le proprie radici. La situazione del Congo non cambierà dall’oggi al domani, richiede sacrifici, lungimiranza e presa di coscienza della propria forza e soprattutto unità e amore della propria patria. È la donna che si rialza, dopo le violenze per ripartire».
Il papa chiede preghiera e digiuno. Come vivere questo momento? A rispondere è Pio, che di formazione è sociologo, con una denuncia che non può lasciare indifferenti: «La preghiera è importante, per sensibilizzare la gente a vedere il Paese altrui come se fosse il proprio. La gente sta veramente soffrendo tanto. Dal mio punto di vista il problema non è Kabila, quanto gli interessi economici che molti dei paesi industrializzati, la cosiddetta comunità internazionale, hanno sul Congo. La mia preoccupazione è questa: se Kabila se ne va, come è giusto che se ne vada, siamo sicuri che ci sarà pace in Congo? Lui è stato messo lì per fare gli interessi delle multinazionali e delle potenze economiche, ormai lo sappiamo tutti. La cosa triste è che nessuno prova indignazione di fronte a questo sterminio. Quando parlano dell’Africa o del Congo, non interessa sapere come vivono i congolesi, ma quello che sta sotto il suolo del Congo Forse noi uomini abbiamo poca memoria della storia, tutto passa, quel che importa è costruire rapporti di fraternità” perché solo l’amore rimane.
Ringraziamo il Santo Padre in memoria di tutti i nostri martiri a cui è stata strappata la vita e in nome di tutto il popolo congolese in lotta per un Congo migliore. La sua iniziativa di digiuno e preghiera per il nostro Paese ci dà speranza e ci conferma che non siamo soli in questa lotta».
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