di Michele Zanzucchi
La guerra è il regno della menzogna, lo sanno anche i bimbi. Anche se gli adulti hanno bisogno di credere alle bugie per concedersi una realtà accomodante. La guerra nel Nord della Siria, nel Rojava curdo, non fa eccezione. Anzi, se possibile, è la quintessenza dell’infinita guerra spezzettata in cento diversi conflitti che da 70 anni sconvolge il Medio Oriente, in un macabro tutti contro tutti. È l’ennesimo episodio del serial “giochiamo alla guerra” in Medio Oriente.
Trump ha cominciato, questa volta, togliendo qualche centinaio di soldati che assicuravano l’equilibrio nella zona, rompendo l’alleanza che lo legava ai curdi, alleati considerati decisivi nella guerra al Daesh. Se ne va tra i soliti tentennamenti semantici, definendo «guerre ridicole» quelle che vuole lasciare. Non certo ridicole per chi le subisce. E per risalire la china nell’opinione pubblica, Trump minaccia misure economiche contro la Turchia.
Erdogan è da sempre un campione delle menzogne a fini egemonici. Anche questa volta sbandiera il pericolo del terrorismo curdo, dimenticando che in questi mesi la Turchia doveva restituire alla Siria una striscia di terreno lungo il confine siriano, passatogli dalla Francia nel 1939. Invece raddoppia, attacca e vuole annettere una striscia di altri 30 km per salvare la sua poltrona, visto che in Turchia le opposizioni, dopo aver conquistato Istanbul e Ankara, cominciano a fare paura al potere costituito.
Anche l’Europa non è innocente. Tutti i grandi leader si sono subito messi a gridare: «All’embargo, all’embargo delle armi», ma ovviamente su quelli futuri, non su quelli in essere, business is business. Quindi conseguenze pari a zero. Anche perché la Turchia è essa stessa un esportatore di armi: se non gliele forniamo, se le fa. Nessuno però mette in discussione l’appartenenza alla Nato: perché?
L’atteggiamento europeo verso la Turchia è poi condizionato dalla costante attenzione ai tre milioni e passa di profughi siriani e iracheni che ancora vivono in Turchia ma col solo desiderio di andarsene il prima possibile. Si continua a pagare Erdogan per il presunto blocco delle folle disperate mediorientali, ma nei confronti dell’opinione pubblica bisogna pure andare in tv e fare i paladini dei diritti umani. Corollario: i migranti ripartono? Da mesi la Grecia riceve ogni giorno centinaia di siriani e altri disperati. In realtà il flusso è già ripartito.
Putin tace, o parla il meno possibile, e gongola di fronte all’abbandono del campo da parte del grande concorrente d’Oltreoceano. Invita la Turchia alla calma, ma il sospetto è che sia della combine, per accentuare ulteriormente il riavvicinamento tra Mosca e Ankara, dopo aver sfiorato appena qualche anno fa una guerra tra titani. Il sospetto verterebbe in particolare sulla spartizione del Nord della Siria: Idlib, Afrine e Jerablus tornino sotto Damasco, il Nord vada pure ai turchi, e tanto peggio per chi vi abita.
Si dice pure che il Daesh stia rialzando la testa: può essere, certamente dei 120 mila “terroristi” o “ribelli” (dipende dai punti di vista), ammassati dall’alleanza siriano-russa nel Nord del Paese (c’è di tutto, dalla “vecchia” al-Qaeda al Daesh, da al-Nusra ai tanti gruppuscoli dell’ultima generazione) qualcuno sta menando le mani. Se una parte di questi sta combattendo con la Turchia (il Medio Oriente, vedi la guerra in Yemen, è ormai teatro soprattutto di guerre tra mercenari, o contractor che dir si voglia), è anche vero che il Daesh è sin dall’inizio una grandissima menzogna in sé, alla cui genesi hanno collaborato direttamente o indirettamente gran parte degli attuali attori sullo scacchiere siriano e iracheno.
I curdi hanno stretto una nuova alleanza con il nemico Assad che non ha mai voluto concedere autonomia al popolo curdo. Non c’era più nessuno disposto a soccorrerli, l’alleanza era obbligata. Ma quanto dell’accordo stretto oggi ha un valore che supera il corto, cortissimo termine? È un’alleanza nella menzogna. Nulla è chiaro, ci si riavvicina per interessi convergenti, ma si resta nemici. Fino al prossimo tornante della storia.
I curdi hanno giustificazioni a carrettate per combattere la loro guerra di liberazione: non hanno una patria, sono sempre stati sballottati a destra e manca. Eppure, volenti o nolenti, hanno lasciato spazio al loro interno a fazioni estremamente violente. Hanno un senso quasi naturale delle armi e della lotta, per una questione di sopravvivenza. Quando si parla dei curdi (che tra l’altro sono ben diversi tra curdi-iracheni, curdi-siriani, curdi-iraniani e curdi della diaspora) non si può mai dimenticare la loro storia tragica e ondivaga.
Ed ecco le poche certezze. Prima e indiscutibile: a soffrire sono i civili, le vere vittime. I più poveri, i meno attrezzati, quelli che sono dovuti rimanere, oggi si trovano sotto le bombe. Ad Aleppo e Hama la gente ricomincia ad avere paura, le false notizie e quelle vere si rincorrono e mettono nel panico milioni di persone. Dopo 8 anni di guerra non si vede ancora una soluzione. La disperazione è alle porte. Altra certezza, i curdi non avranno nemmeno stavolta una patria per pacificarsi e trovare una vita “normale”. E la Siria sarà spartita, checché se ne dica. Fra tre mesi se ne potrà riparlare. Naturalmente Israele non starà a guardare per impedire la creazione del corridoi sciita tra Teheran e il Mediterraneo. I mercanti di armi e di carne da macello brindano, come i palazzinari brindavano dopo il terremoto de l’Aquila: il mercato si amplia, più sangue scorre e più soldi entrano nelle casse. Chi li denuncia, a parte l’uomo in bianco?
La pace è lontanissima, sempre più lontana. Mentre cresce parallelamente l’eroismo, piccolo o grande, di chi la vuole, di chi opera per il perdono e la riconciliazione. La violenza oggi va guardata negli occhi delle vittime (dal vivo, non sui telefonini, di vittime ce ne sono ovunque in Europa), bisogna bagnarsi le mani con le lacrime della gente che non sa dove fuggire. Tanto più oggi che lo show macabro della guerra ha bisogno di andare avanti e si nutre di sangue e lacrime. È un dovere di questi tempi per chiunque vuole la pace di non girare la testa. A cominciare da noi giornalisti, che potremmo raccontare anche un po’ di più l’eroismo degli artigiani di pace.
P.s. Questo mi scrive un amico da Aleppo, testo che lascio senza commenti: «Non ci sarà mai una soluzione definitiva in Medio Oriente se non si trova una soluzione definitiva per il popolo palestinese e per quello curdo, popoli senza terra né patria. Questa situazione tragica è stata sfruttata e manipolata al massimo dalle e in favore delle grande potenze occidentali e sicuramente di alcuni Paesi arabi e di altri ancora, in modo particolare per la vendita di armi e per mantenere uno stato di conflitto continuo che giustifica atti di discriminazione, di fanatismo, di autogiustificazione per le minorità religiose, le monarchie, le dittature che governano il Medio Oriente, sotto la copertura e la protezione dell’Occidente. Chi paga il prezzo? Sono gli innocenti, gli sfollati, i feriti e i morti. Chi paga il prezzo? Sono anche i cristiani del Nordest della Siria, i pochi rimasti, che sicuramente lasceranno le loro terre per andare via chissà dove. La situazione è grave, anzi drammatica. Personalmente non so come finirà, sono pessimista e mi aspetto il peggio. Sarà che la guerra di spartizione della Siria è iniziata? Dico guerra, perché sarà difficile spartire senza violenze, è diabolico. Cosa si può fare? Sicuramente pregare e pregare, forse organizzare veglie di preghiera, lanciare una catena di preghiera planetaria. Poi gridare alto e chiedere all’Occidente di smettere di immischiarsi nelle nostre faccende, di togliere piuttosto l’embargo e di chiudere tutte le fabbriche di armi».
FONTE: CITTÀ NUOVA
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