È possibile una cultura della fraternità in politica?

Convegno  “Ciudades por la unidad” / Città per l’unità, Rosario – Argentina

L’invito a prendere la parola all’interno di questa splendida assemblea, che accoglie significative rappresentanze da tutte le nazioni del Latino America, è davvero un onore che mi coinvolge fino in fondo sia personalmente, sia come rappresentante del Movimento politico per l’unità, che oggi ha l’opportunità di far partecipi tanti della sua proposta.

Com’è stato già detto negli interventi che mi hanno preceduto, fin dalla fase preparatoria abbiamo inteso mettere in campo una metodologia specifica, porre questo progetto sotto il fascio di luce di una grande idea, quella della fratellanza universale come categoria politica e individuare, l’orizzonte della città come luogo politico per eccellenza. Da qui, il titolo: “Città per l’unità”.

Ora tocca a me argomentare a giustificazione della scelta fatta.

Prima di tutto le radici. La scoperta della fraternità come motore della nostra vita, come di quella dell’umanità, si radica su un’esperienza profondamente religiosa, quella del Movimento dei Focolari, realtà ecclesiale, ma non esclusivamente tale, che fonda la sua peculiare presenza sul carisma dell’unità di Chiara Lubich.

Due momenti in particolare della vicenda di Chiara fanno pensare fin dagli inizi ad un messaggio che avrebbe avuto grande influenza sulla politica. La prima, -lo abbiamo sentito nel suo messaggio-, è la scoperta dell’amore di Dio nella storia degli uomini, che Chiara e le sue prime compagne hanno fatto nei primi anni quaranta, durante la seconda guerra mondiale, E’ un’evidenza che le travolge spingendole immediatamente all’impegno sociale verso i numerosissimi poveri della città. “Volevamo – dice Chiara – risolvere il problema sociale di Trento. Dio ci amava immensamente e noi dovevamo per quell’amore amare tutti i nostri fratelli.”

E poi, quella pagina del Vangelo che Chiara Lubich ha definito spesso come la magna charta del Movimento che sarebbe nato, il Testamento di Gesù: “Che tutti siano uno”. Un programma a cui decidono di dedicare la loro vita: e che cos’è l’unità della famiglia umana se non un programma politico? Un programma che non si potrà realizzare senza una specifica coniugazione politica.

Vorrei iniziare da una citazione: “Vi sono due tipi di politica: una che vede lontano ed una che vede vicino. Soltanto la prima merita il nome di politica nel vero senso della parola. Definita in breve, la politica vera è la visione dell’interesse lontano.”

Questa è un’espressione di Rudolf von Jhering, un giurista tedesco del XIX secolo, e non solo di lui, ma di tanti altri: parole che vengono da un’epoca lontana quindi per vari aspetti, ma che danno voce a quella che continua ad essere, anche a mio giudizio, una definizione autentica di politica valida anche oggi, all’inizio del terzo millennio.

Vorrei portare solo alcuni esempi delle principali lacerazioni su cui la politica fatica ad intervenire. La globalizzazione è una realtà inarrestabile, ma come armonizzare i suoi processi che hanno valicato confini prima insuperabili, con la salvaguardia delle culture locali e dei diritti delle minoranze? Come impedire che le asimmetrie di potere economico e politico inchiodino i popoli ad una situazione di disparità sempre più marcata? Come governare il dispiegamento di una tecnologia sempre più pervasiva, mentre l’equilibrio ecologico globale resta in secondo piano, così come i diritti delle generazioni future? E mentre la democrazia si espande, affinando le sue regole, come rispondere a milioni di uomini e donne, a popoli interi che non solo non vengono coinvolti da questi processi, ma restano esclusi perfino dalla possibilità di un progetto di vita?

La condizione è il coraggio di affiancare alla analisi delle cause prossime, anch’essa certamente importante, la più necessaria comprensione delle cause profonde della crisi di oggi.

Occorre osare un cammino che risulti aperto e comprensibile a tutti, capace di investire di responsabilità ciascuno, nella diversità dei ruoli sociali e politici e dell’appartenenza partitica o culturale.

La fraternità universale è certamente una di queste categorie.

Lo affermo con la forza che può avere chi che ne ha sperimentato i frutti nella propria azione politica personale, ma ne conosce anche il grado di incidenza in molte parti, diversissime, del pianeta.

Scegliere la fraternità cambia i nostri atti politici, richiedendo al tempo stesso concretezza verso l’uomo, chiunque esso sia, e universalità, una qualità così consona alla stato attuale della politica.

Chi, fra noi, attinge al messaggio di Cristo, la scopre come conseguenza dell’esser figli dell’unico Padre, Dio Amore; chi ha dato altri riferimenti culturali alla propria vita la riscopre la riscopre al centro della propria coscienza, legge di relazione iscritta nel DNA di ogni persona.

Essa descrive il legame universale tra gli uomini, contiene in sé la ricchezza della solidarietà, fonda e sviluppa armonicamente l’uguaglianza e la libertà. Non è, forse, proprio la fraternità che può ridare alla libertà la sua vera interpretazione, come principio di piena realizzazione di ogni persona, e non come spazio senza regole in cui prevale il più forte? E non è, forse, proprio la fraternità che può ridare all’uguaglianza il suo vero significato come principio di giustizia sociale per la redistribuzione delle risorse e delle opportunità, e non come elemento di una ideologia collettiva e impersonale?

E proprio qui, in America Latina, è possibile affermare che è stato il principio della fraternità ad ispirare l’impegno per l’integrazione politica del continente: non posso non menzionare le intuizioni  politiche – pur senza sottovalutare limiti ed errori – di José de San Martin, di Simón Bolívar, Josè Artigas, Francisco Morazán, Toussaint Louverture, Josè Martì, Josè Carlos Mariátegui. E come non ricordare, in tempi più recenti, numerosi premi Nobel ed altri personaggi autorevoli che, a vario titolo, tanto hanno dato alla storia di questo continente? la figura di Monsignor Oscar Romero accanto a quella di dom Helder Camara? E molti altri che voi conoscete bene!

La loro voce ci accompagna e ci sprona. Siamo solo all’inizio di una lunga strada, ma le prime sperimentazioni, in Paesi e contesti molto diversi, ci permettono di affermare che la fraternità getta luce su tutta la politica, dando indicazioni su metodo, contenuto e fine.

Oggetto di studio di questo Convegno sono le città: per questo, vorrei ora collocare brevemente alcune osservazioni in questo specifico contesto.

Dal punto di vista del metodo politico: la fraternità edifica una città in cui tutti sono soggetti di una politica di comunione

Giuseppe Dossetti, uno dei padri costituenti italiani, ha saputo descrivere con una espressione provocatoria il male del nostro tempo: “la notte del noi”, l’incapacità cioè dei tempi di oggi di coniugare i verbi della nostra vita nella prima persona plurale, il “noi”. Quante volte infatti ci chiudiamo come monadi alla ricerca assoluta del nostro interesse, fino a far crescere un individualismo metodologico che giustifica teoreticamente un debito estero omicida, le guerre preventive, tutti i ghetti delle nostre società. E più la ricchezza è grande e più la notte del noi è fonda.

Ma se fosse proprio la politica, l’arte dell’unità per antonomasia, la casa da dove rimettere in moto l’agire plurale?

La fraternità come metodo politico, proprio perché coinvolge dal più profondo ogni uomo, non ci farà correre il rischio di una omogeneità di pensiero mortificante, non negherà il conflitto ma lo trasformerà in capacità di ascolto della posizione dell’altro.

Se è così, allora la politica non riguarda esclusivamente i cosiddetti professionisti, essa è percepita nella sua essenza: uno spazio aperto al contributo di tutti, una chiamata la cui radice è l’amore al fratello come a se stessi, alla nostra gente come a quella che abita oltre il nostro confine. E in nome di questo impegno ad amare, si ha il coraggio di anteporre alla propria appartenenza, a tutte le appartenenze – tipica ricchezza della politica -, l’amore ad ogni uomo e l’affermazione di quei valori che contraddistinguono l’umanità.

Ma a cambiare non è soltanto la definizione dei soggetti della politica e la loro responsabilità, parlamentari e cittadini, diplomatici e funzionari; cambia la visione stessa della politica, i suoi rapporti strutturali con le altre funzioni sociali.

Chiara Lubich, invitata a presentare il suo pensiero su questo tema alla Camera dei Deputati a Londra, nel giugno 2004, ha condotto questo ragionamento fino alle sue conseguenze: “Un giorno mi sembrò di comprendere – sono sue parole – cosa volesse dire la politica come amore. Se dessimo un colore ad ogni attività umana, all’economia, alla sanità, alla comunicazione, all’arte, al lavoro culturale, alla amministrazione della giustizia… la politica non avrebbe un colore, sarebbe lo sfondo, il nero, che fa risaltare tutti gli altri colori.” (fine della citazione)

Alla luce di questa visione, la politica ha il dovere di ricercare un rapporto continuo con ogni altro ambito di vita, per porre in questo modo le condizioni affinché la società stessa, con tutte le sue espressioni, possa realizzare fino in fondo il suo disegno. E’ chiaro che la politica ha il dovere di riservare a sé la funzione specifica di dettare le priorità in un programma equo, conservando una autentica capacità di mediazione, responsabilità e concretezza.

Questo stile di lavoro, l’operare secondo un progetto complessivo, non può che rendere più efficace l’azione di amministratori e politici, a tutti i livelli, resi più aperti e capaci di conoscere e rispondere ai bisogni dei cittadini, evitando errori, e anche qualche illusione spesso così dannosa.

Allo stesso tempo ciò concorre a ricostruire la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, perché trovano e ritrovano il senso della loro piena partecipazione alla costruzione della comunità e del governo di essa.

Dal punto di vista del contenuto politico: una città fraterna accoglie l’ultimo e diventa così una città accogliente per tutti.

La fraternità non si limita a ordinare i rapporti tra i vari soggetti secondo scelte di partecipazione effettiva, essa incidere fortemente sui contenuti sostanziali dei nostri atti amministrativi e legislativi, così come sulla loro attuazione.

Per ragioni di tempo mi limiterò a parlare di due soli contenuti di una politica che trae ispirazione dalla fratellanza universale. La scelta è dovuta prima di tutto alla loro pregnanza che li fa paradigmatici, ma anche a quanto abbiamo sperimentato sul campo; pur in situazioni diversissime, abbiamo sempre cominciato da queste due direttrici.

Vivere la fraternità non è limitarsi a sentire un vago sentimento di prossimità all’umanità, ma è abbandonare, come chiave di lettura e di progettazione politica, la stretta visuale del mio angolo di mondo, della mia parte politica, ecc., per riconoscere e assumere come soggetto politico l’intera famiglia umana. Se ogni uomo è mio fratello, allora il progetto di vita di mio fratello è il mio, l’ aspettativa di vita che ipoteca lo sviluppo dei Paesi poveri è la mia ed incide nella mia programmazione strategica; il bilancio del mio comune, come quello della mia famiglia si struttura e si relativizza sulla loro condizione.

C’è poi un secondo contenuto che l’orizzonte della fraternità universale suggerisce al nostro agire politico. Tanto più oggi in cui non esiste più una reale discontinuità tra i diversi luoghi della politica, ogni comunità politica ha da prendere posizione sulle fondamentali questioni internazionali. Argomenti come il debito estero ingiusto, la destinazione universale dei beni, le risorse naturali come patrimonio dell’umanità intera, la scelta tra pace e guerra sono argomenti su cui tutti dobbiamo prendere posizione.

Oggi appare sempre più urgente rifondare l’attuale formulazione del diritto internazionale e del diritto interno, ormai inadeguati di fronte alla realtà planetaria della globalizzazione. La prima opzione dovrà essere rivolta al rafforzamento dei processi di integrazione economica e politica e delle Unioni di Stati che si vanno realizzando a livello continentale o per aree geo-politiche, facendone luoghi di rapporti paritari e tavoli di voto più che di veti, rivolti alla partecipazione più che all’interdizione.

Passaggio obbligato, inoltre, per risanare il tessuto di ingiustizia sociale e di sperequazioni che alimentano guerre e terrorismi sarà quello di rendere realmente democratiche le organizzazioni economiche internazionali, ancora troppo legate agli interessi di pochi paesi potenti.

Sostenere le organizzazioni internazionali a vocazione universale resta prioritario: perché non far partire da qui una coraggiosa riforma dei meccanismi di decisione delle Nazioni Unite, che osi alzare la prospettiva e non si limiti a richiedere posti di preminenza per un Paese o l’altro?

Dal punto di vista del fine politico: per chi sceglie la fraternità, una città non basta.

Con la scelta della fraternità si fa chiaro che il fine della politica è quello di accompagnare e sostenere la composizione di una famiglia di popoli uniti. Ma questa meta non si compie in uno spazio ideale, fuori dal mondo, trasferendoci tutti in un luogo “altro”, in cui siamo tutti omogeneamente uguali e compatti perché abbiamo perso la ricchezza delle nostre diversità. Il mondo unito, ispirato alla fraternità universale, è composto di pezzi di mondo unito, di brani di fraternità in atto che si edificano dentro le città degli uomini, dentro le nazioni, i popoli e le etnie che, “attraverso” le loro diversità messe in comunione, compongono un disegno che è un processo continuo tra unità e molteplicità.

Le nostre comunità, le nostre città, i nostri popoli rivelano, se la cerchiamo, una storia: non sono la semplice somma di tanti individui estranei l’uno all’altro, non l’intrecciarsi caotico di percorsi casuali, ma la composizione e ricomposizione della famiglia umana. In particolare sulle nostre città è possibile intravedere il dispiegarsi di un disegno in costante sviluppo, che possiede la ricchezza di una storia con profonde radici nel passato, che prende vigore dal presente, ma chiede soprattutto di esprimere le sue potenzialità future. Ogni comunità evidenzia così la sua diversa bellezza e più se ne approfondiscono gli elementi specifici, con questo sguardo d’amore, più essa si rivelerà per quello che è: un tassello necessario ed insostituibile alla composizione dell’unità della famiglia umana.

Ma è sempre necessario che a cominciare ci sia un piccolo gruppo che decida di porsi come catalizzatore di unità, perché, se sollecitata da progetti grandi e da persone in grado di mettere in moto rapporti veri, ogni nostra comunità comincerà a scoprire dentro di sé una forza positiva che le era prima sconosciuta, e si avvierà un’altra storia con prospettive impensate.

Vorrei concludere ancora con un’affermazione di Chiara Lubich, che ha contribuito in molteplici circostanze a rafforzare in noi il desiderio di operare per il maggior bene dei nostri popoli, e l’uno per il bene dell’altro: “Dopo millenni di storia in cui si sono sperimentati i frutti della violenza e dell’odio, abbiamo tutto il diritto oggi di chiedere che l’umanità cominci a sperimentare quali potranno essere i frutti dell’amore.”

Certo, frutti di pace, di condivisione, di sviluppo solidale, di fraternità vera tra tutti.

Lucia Fronza Crepaz – Italia – Presidente Centro Internazionale Movimento politico per l’unità