Inutili gli arroccamenti. La necessità di alleanze era prevista dal “rosatellum”. Occorre senso di responsabilità, anche per un governo di larghissime maggioranze per definire una nuova legge elettorale e tornare a votare
Le prime 48 ore post elettorali sono servite ad avviare la decantazione dei risultati, necessaria tanto per chi ha perso che per chi ha vinto. Davanti al quadro parlamentare, che sulle prime si mostra inadatto a esprimere una maggioranza, è necessario sfoderare lucidità e indirizzarsi alla ricerca di una strategia, abbandonando quindi rivalse e tattiche. Non è facile, certo, ma è il mestiere del politico. Al quale ha fatto riferimento il presidente della Repubblica quando nell’evidenziare il peculiare apporto femminile in politica, ha evocato il sempre necessario «senso di responsabilità di saper collocare al centro l’interesse generale del Paese e dei suoi cittadini».
Nel concreto, è aperta la questione delle alleanze impossibili. Il centro-destra non solo non è autosufficiente, ma è talmente lontano dalla maggioranza assoluta da non poter far conto sui liberi battitori, pur presenti, o sui transfughi, sempre individuabili. Escludendo i Cinquestelle, per comporre un governo avrebbe quindi bisogno del Pd.
Il M5S è forte del fatto di essere il primo gruppo parlamentare in entrambe le Camere, ma l’autosufficienza è ancora più lontana che per il centro-destra. Costretto quindi a guardare oltre sé, anch’esso scopre che col Pd (e magari LeU in aggiunta) si potrebbero realizzare alcuni obiettivi comuni.
Altro scenario vede i due vincitori, M5S e Lega, potenzialmente uniti per un governo che sarebbe di rottura col passato. La percentuale di percorribilità di queste ipotesi, se si sta ad alcune prese di posizione, è vicina allo zero. In particolare, il Partito democratico ha sbarrato la porta a ogni alleanza, ritenendo che debbano essere le forze vincitrici a farsi carico del governo. Matteo Salvini, dal canto suo, ha riaffermato che il proprio perimetro di azione è e resta il centro-destra.
Solo Luigi Di Maio appare aperto e dialogante, per quanto contemporaneamente teso a non infrangere la linea di confine affermata da sempre: non si tratta su poltrone ma su programmi. Anche Berlusconi dice la sua: «Occorre scongiurare la paralisi».
È, quest’ultima, un’osservazione che, depurata da qualche paura di ritorno al voto e resa di conti interna, oggettivamente ha la sua saggezza e che ha bisogno ugualmente di saggezza per inverarsi. La prima – e basilare – sarebbe quella di riconoscere che un sistema fondato su alleanze non lo si deve al destino cinico e baro, ma lo si è scelto consapevolmente approvando il “rosatellum”. Chi ne è stato protagonista, non ha forse una responsabilità in più?
Un’altra saggezza necessaria e conseguente sarebbe quella di evitare arroccamenti; non è una situazione che li consente, a nessuna forza politica. È necessario almeno ascoltare e ascoltarsi. Solo dopo si potrà, eventualmente, prendersi la responsabilità di porre le basi del quarto scenario: un governo ad amplissima partecipazione e tornare al voto, possibilmente dopo aver aggiustato il sistema elettorale (e senza immotivati alibi o attribuzioni di colpe derivanti dalle sentenze della Corte costituzionale, please )
Da qui al 23 marzo, giorno dell’insediamento delle Camere e dell’elezione dei presidenti, si deve percorrere un cammino che metta il Capo dello Stato in condizione di svolgere al meglio il suo delicato compito: standogli al fianco e non contro. Il tempo c’è e se il cammino sarà stato percorso, lo si capirà proprio da quelle elezioni, specie da come andrà quella del presidente della Camera che necessita della maggioranza assoluta. Se si arriverà velocemente a coprire quella funzione, vuol dire che tra i gruppi parlamentari si sarà delineato un accordo. Seguiamo quindi gli eventi cercando di avere anche noi ciò che ci sembra necessario nei nostri politici: accettazione del risultato, ascolto, apertura. E poi, scelta.
Scarica l’articolo in pdf
Scrivi un commento