da Parigi Charles de Pechpeyrou
Fonte: L’Osservatore Romano
Non si deve «essere timidamente europei, altrimenti abbiamo già perso»: è quanto affermava Emmanuel Macron in un’intervista pubblicata su «Libération» del 20 marzo scorso, quando era ancora in competizione per il primo turno delle elezioni presidenziali francesi. Una frase incisiva che riassume pienamente quanto sia determinato il presidente eletto quando si parla di Europa. Con questa affermazione — sottolineava Sigmar Gabriel, ministro degli esteri tedesco, in un commento su «Le Monde» del 2 maggio — Macron elogiava «il coraggio dei padri fondatori dell’Unione europea» e «questo progetto unico al mondo, opera innanzitutto di francesi coraggiosi».
Di fatto, domenica sera nel suo discorso dopo la vittoria, con un tono molto solenne, rivolgendosi a tutti i suoi concittadini, compresi i moltissimi che si sono astenuti al secondo turno, Macron si è presentato in veste di «difensore dell’Europa in quanto comunità di destini che si sono dati i popoli del nostro continente». Mi accingo «a tessere nuovamente il legame tra l’Europa e i suoi cittadini» ha promesso il leader di En Marche! affermando che «sono in gioco la nostra civiltà, il nostro modo di vivere, di essere liberi e di portare i nostri valori, le nostre opere comuni e le nostre speranze».
La preoccupazione del presidente eletto è espressa già nel suo programma, dove dichiara che dal 2005, cioè da quando Francia e Paesi Bassi hanno detto di no al progetto di trattato costituzionale europeo, «abbiamo perso un decennio e si è sviluppato un sentimento di diffidenza nei confronti dell’Unione europea». Così, «a forza di presentare l’Europa come capro espiatorio, i responsabili nazionali hanno iniettato il virus della diffidenza» osserva con rammarico il giovane uomo politico. Da allora «nessuno ha proposto più nulla, è prevalsa la logica dell’incertezza». Ma questa crisi di fiducia risale anche a qualche anno prima — rileva Macron — rimpiangendo «una perdita della linfa dell’Europa» con un traviamento del mercato unico, quando nello spirito di Jacques Delors il progetto europeo era libertà ma anche regolazione della solidarietà.
Il nodo del problema si è concentrato tra una sponda e l’altra del Reno. «Bisogna anche riconoscere — sottolinea il presidente eletto — che una certa diffidenza si è creata nella coppia franco tedesca, se vogliamo ridiventare il motore, bisogna ritrovare questa fiducia». Oggi, la coppia franco-tedesca non è sufficiente ma è indispensabile, non si può fare l’Europa contro la Germania. «Non sono di fronte a Berlino, sono assieme a Berlino», anche se «abbiamo delle differenze e avremo dei dissensi» precisava Macron il 27 aprile, interrogato dal primo canale televisivo francese. Il presidente eletto «non renderà la vita facile a noi altri tedeschi. Al contrario, la sua critica sarà una sfida che ci spingerà a cambiare politica, e ha perfettamente ragione» prevede con una punta d’ironia Sigmar Gabriel.
È quindi prima di tutto necessario arginare questa epidemia di sfiducia verso l’Europa «rigenerando l’ideale europeo». Rigenerare, o meglio, rifondare. Questi ultimi mesi, mentre si festeggiava il cinquantesimo anniversario del Trattato di Roma, nelle dichiarazioni del candidato di En Marche! ritornava sempre, a proposito dell’Unione europea, la parola «rifondazione». Ma in concreto cosa propone Macron? Una tabella di marcia da definire secondo le priorità da affrontare. Un’agenda comune per le politiche energetiche, la lotta contro il dumping sociale. In materia di difesa, invece, riconosce che «è difficile progredire a 27», ma crede in una «collaborazione ad hoc, prevista dai trattati, lanciata da Francia e Germania, associando l’Italia e la Spagna, e anche la Gran Bretagna con modalità da definire dopo l’uscita di quest’ultima dall’Ue».
Su altre questioni invece, specialmente in materia di problemi sociali, Emmanuel Macron non sembra invece esprimersi in modo altrettanto chiaro. Rimane quindi ancora aperto il problema interno alla Francia, paese fortemente colpito dalla crisi economica, dove la maggior parte dei contadini e gran parte degli operai si sono riconosciuti nella destra di Marine Le Pen. Saprà Macron essere il presidente anche di questa parte della popolazione che è stata penalizzata dalla globalizzazione e anche da alcuni provvedimenti dell’Unione europea? È questa la scommessa che lo aspetta all’interno, e che costituirà il centro del dibattito nelle prossime elezioni politiche.
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