di Maddalena Maltese, corrispondente da New York di Città Nuova.
Labourista, avvocato, figlio di un immigrato pachistano impiegato nei trasporti inglesi, Sadiq Khan è oggi primo cittadino di una delle città più multietniche d’Europa mentre il suo primo ministro chiude le frontiere ai profughi.
«Sono orgoglioso che Londra abbia scelto la speranza e non la paura, l’unità e non la divisione, perché la paura non ci fa più forti, ma più deboli e la politica della paura non è benvenuta nella nostra città». Il discorso d’esordio da primo cittadino di Londra di Sadiq Khan la dice lunga sul clima elettorale che ha gravato per mesi sulla città più multietnica d’Europa e sulla persona di quest’avvocato di origine pakistana.
Le accuse di razzismo e di fiancheggiamento all’estremismo islamico rivoltegli dagli avversari non hanno pagato e soprattutto non hanno convinto gli elettori che lo hanno premiato con oltre il 44% dei consensi, convinti che un sindaco musulmano a capo della City possa essere davvero un sindaco per tutti i londinesi. Le insinuazioni di connivenze con estremisti o le accuse al limite del razzismo del suo avversario conservatore non hanno trovato terreno fertile in un contesto dove un cittadino su due è straniero e la seconda religione del Paese è l’Islam.
L’elezione di Khan sembra in qualche modo dare una prima concretezza alle profezie dello scrittore francese Michel Houellebecq che nel suo libro “Sottomissione” immaginava vincitore delle presidenziali in Francia un leader di un partito musulmano, con la conseguenza di una rapida islamizzazione del Paese. La rappresentanza politica dei cittadini stranieri presenti da decenni nei Paesi europei è un tema che non può essere eluso e se nella democrazia programmi, numeri ed elettori decidono la politica di una nazione, i numeri dell’Europa hanno oggi i colori di tanti Paesi del mondo. E se la vittoria di Khan è guardata con attenzione e sarà studiata con particolare severità anche per le sue convinzioni religiose, il dato più controverso e in controtendenza è piuttosto quello del primo ministro britannico che ha scelto di non ospitare i nuovi rifugiati provenienti dal Medio Oriente. E così da un lato Cameron si ritrova a firmare trattati per preservare il suo Paese dai migranti e dall’altro milioni di suoi concittadini scelgono a capo della capitale del Regno unito proprio il figlio di un immigrato pachistano impiegato nell’azienda di trasporto locale.
Il metro di misura della gente è talvolta diverso da quello dei suoi politici. E Khan non si ritrova da solo sul podio delle sfide e delle vittorie etniche: anche a New York il sindaco italo-americano Bill De Blasio vanta un nonno domestico e una nonna casalinga immigrati dalla provincia di Benevento, ma siamo in un Paese che ha avuto l’ardire di eleggere per due mandati un presidente nero. Tornando all’Europa anche nelle vene del premier belga scorre sangue abruzzese e quindi perché sorprendersi, se anche in Italia dovesse accadere che figli o nipoti di migranti nordafricani avessero in mano le redini di una città? In democrazia contano i fatti e i progetti e non certo i certificati di nascita.
Sono domande scomode che a breve saremo portati a farci. Con rigore e con apertura. Il mondo cambia. Anzi, è già cambiato.
Fonte: Cittanuova.it
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