di Ravindra Chheda

La più grande democrazia del mondo si prepara ad andare alle urne. Le elezioni politiche si svolgeranno in India, in sette diverse tornate, a partire dall’11 aprile fino al 19 maggio

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Saranno quaranta giorni estenuanti, durante i quali i cittadini dell’unione potranno esercitare il loro diritto al voto a seconda degli Stati in cui abitano e sono registrati. Il conteggio delle schede inizierà dal 23 maggio. Si tratta della 17° volta che l’immenso Paese si reca alle urne per eleggere la nuova composizione della Camera bassa del Parlamento (Lok Sabha), ma anche alcune Assemblee statali (Andhra Pradesh, Arunachal Pradesh, Orissa e Sikkim). In tutto, i seggi da assegnare alla Lok Sabha sono 543; pertanto, vincerà le elezioni la coalizione o il partito che riuscirà a conquistarne almeno 272.

Il panorama si presenta molto complesso. Fino a poco meno di un anno fa sembrava che Surendra Modi, primo ministro in carica – leader indiscusso del Bharatya Janata Party (Bjp), il partito che rappresenta il fondamentalismo indù che vorrebbe una India per gli indù secondo l’agenda cosiddetta dell’Hindutva – sembrava destinato a un’altra vittoria schiacciante, come è stata quella del 2014 quando il suo partito riuscì a conquistare ben 282 seggi al Lok Sabha. Era dal 1984 che un partito non entrava in Parlamento con la maggioranza assoluta (ma allora la vittoria a valanga era dovuta all’ondata emotiva suscitata nel Paese dalla morte di Indira Gandhi).

Molti fra gli esperti sono convinti che queste elezioni saranno soprattutto un referendum su Modi, che resta la figura centrale di tutto il dibattito pre-elettorale. Il partito del Congresso, che uscì dalle elezioni di cinque anni fa quasi cancellato dalla scena politica, recentemente sembra aver rialzato la testa. E lo ha fatto giocando ancora una volta la carta della famiglia Nehru-Gandhi, che di fatto si è identificata con le sorti dell’Indian National Congress (noto come Congress) fin dalla sua nascita, ancora nel periodo coloniale. Il nonno del Pundit Nehru, Motilal Nehru, ne fu uno dei fondatori e per decenni il suo rappresentante più significativo.

L’attuale candidato premier è Rahul Gandhi, figlio di Sonia e Rajiv e nipote di Indira Gandhi,oltre che pronipote di Jawaharlal Nehru, primo premier dell’India dopo l’indipendenza. Come si vede, si tratta di una vera successione regale, passata di padre in figlia, fino all’attuale rappresentante di famiglia. Ma anche la sorella Priyanka Gandhi Vadra, dopo anni di attesa, è entrata ufficialmente in politica, e sarà al centro della campagna elettorale, soprattutto nell’immenso Uttar Pradesh, lo Stato più popoloso dell’India – con quasi 204 milioni di abitanti – che è tradizionale appannaggio dei partiti di ispirazione indù. Proprio per le sue dimensioni e per la sua popolazione, l’Uttar Pradesh è spesso uno Stato determinante in politica: da solo, porta in Parlamento 80 seggi e nel 2014 il Bjp ne ha conquistati 71.

Il partito di Modi si trova ancora favorito, ma pesano le sconfitte subite nell’autunno scorso in occasione delle elezioni locali in alcuni Stati importanti che sembravano facile appannaggio del Bjp e che invece sono tornati sotto il controllo del Congresso. Inoltre, il Paese sta vivendo una fase delicata a causa della crescente disoccupazione giovanile, semplicemente imprevedibile solo un paio di anni fa, e l’endemica povertà degli agricoltori con molteplici casi di suicidio dovuti alla mancanza di raccolti per via della siccità che ha colpito per vari anni alcuni vasti territori del Paese. Altre questioni scottanti sono il ruolo della donna e il rispetto delle minoranze religiose, che accusano Modi e il suo governo di non aver osservato e salvaguardato i loro diritti.

A questo proposito i cristiani hanno subito lamentato che una delle date delle elezioni cada il giorno del Giovedì Santo e crea, quindi, un problema ai cristiani degli Stati che si recheranno alle urne in quella giornata. Sempre rimanendo nel contesto delle minoranze, recentemente, il 7 marzo si è svolto all’Ambedkar International Centre della capitale un incontro fra l’on. Mukhtar Abbas Naqvi, ministro degli Affari delle minoranze, e rappresentati delle comunità cristiana, musulmana, sikh, gianista, buddista e parsi, che hanno chiesto di essere tutte incluse nel “Sankalp Patra” (l’agenda di governo). Questi gruppi chiedono, per esempio, al governo di rispettare le feste religiose di tutte le comunità; dare autonomia alle scuole, evitando il controllo centralizzato e la zafferanizzazione – il colore tipico dei fanatici indù è infatti il giallo-arancio-zafferano – dell’istruzione (rilettura dei fatti storici in chiave apologetica del nazionalismo indù). Molti libri scolastici, infatti, sono stati in questi anni riscritti con una lettura tipica della prospettiva dell’Hindutva.

Ma c’è di più. I gruppi minoritari reclamano una coerenza con la Carta costituzionale che fa dell’India un Paese laico, multi-culturale e multi-religioso. Chiedono, quindi, il diritto a predicare e diffondere il proprio credo e al rispetto di tutte le tradizioni religiose, spesso messe a repentaglio da linciaggi di massa e discriminazioni di vario tipo.

Tuttavia, da come si stanno mettendo le cose, sembra che la campagna elettorale sarà attorno alla figura dell’attuale primo ministro e alle sue promesse, cinque anni fa, di creare una “Nuova India”. Si tratterà di vedere se la sua capacità oratoria e la sua potente macchina pubblicitaria riusciranno a convincere la più grande democrazia del mondo che ha dato prova di capacità decisionali, di patriottismo, di saper lavorare con impegno e per i poveri. Soprattutto, la gente vuole capire con chiarezza se Modi ha sconfitto la corruzione o non l’ha semplicemente sostituita con metodi alternativi ma altrettanto negativi.

FONTE: CITTÀ NUOVA