di: Victoria Martín de la Torre

 

A 67 anni dalla storica Dichiarazione di Robert Schuman

Per ricordare il 9 Maggio 1950 che vide la Dichiarazione Schuman, riportiamo una riflessione di Victoria Martín de la Torre, dottoranda all’Istituto Universitario Sophia dove lavora su Europa e multiculturalismo, già autrice del libro “Europa, un salto a lo desconocido” (Europe, a leap into the unknown – Europa, un salto nell’ignoto) e del video documentario “Europe Through the Generations”.

“Qualcuno ha detto che la Federazione Europea è un mito – sono parole che Alcide De Gasperi pronunciò nel novembre del 1950 nell’Aula del Senato italiano –, è vero. E se volete che un mito ci sia, ditemi un po’ quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda i rapporti fra Stato e Stato, l’avvenire della nostra Europa, l’avvenire del mondo, la sicurezza, la pace, se non questo sforzo verso l’Unione. (…) Io dico che questo mito è il mito di pace; questa è la pace e questa è la strada che dobbiamo seguire”.
Quasi 70 anni dopo, in questa Europa minacciata da vecchi nazionalismi, che fatica ad attraversare la turbolenza della Brexit e il rischio della disintegrazione, sono parole che ci costringono a riflettere. Forse il nostro mito non è più la Federazione, come la pensavano i padri dell’Europa Unita negli anni ‘40 e ’50: qual è il nostro sogno per l’avvenire?
In questi giorni ricordiamo il momento storico che ha dato avvio al lungo processo di integrazione economica e politica in Europa: il 9 maggio del 1950, Robert Schuman, ministro degli esteri del governo francese, propose alla Germania e agli altri Paesi europei la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, per mettere in comune le rispettive produzioni. Lui e il cancelliere tedesco Konrad Adenauer sapevano bene che il carbone e l’acciaio non erano altro che una sorta di pretesto per avviare il superamento delle frontiere fisiche come di quelle mentali. La proposta era il primo passo per costruire una comunità basata sulla fiducia e non più sullo scontro.
Avevano visto passare troppe guerre, troppi conflitti.

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(Alcide De Gasperi, Robert Schuman, Konrad Adenauer – 1952)

Ciò a cui pensavano era una nuova organizzazione in cui la differenza non fosse vista come un problema ma come una risorsa: vivere uniti nella diversità. Per raggiungere questo scopo ambizioso però, mancava ancora un’idea chiara della forma che la nuova Europa avrebbe dovuto acquisire. In realtà, fu Jean Monnet, funzionario del governo francese, che ebbe l’idea di utilizzare come leva il precedente profondo disaccordo sulla gestione delle risorse minerarie della regione della Saar tra la Francia e la Germania, per introdurre un nuovo dinamismo anzitutto in ambito economico. Altre comunità ne avrebbero seguito l’esempio, sempre con l’obiettivo dell’unità all’orizzonte.  I Padri d’Europa non avevano bisogno di una tabella di marcia. L’importante non era tanto il fine, quanto il procedere insieme: sapevano reagire in fretta a seconda delle circostanze.
La Dichiarazione Schuman di quel 9 maggio 1950 presentava già senza esitazione l’obiettivo di una Federazione Europea. Ma quando i giornalisti cominciarono a chiedere dettagli e tappe, il ministro non rispose e alla fine dovette ammettere: “… sì, è un salto nel ignoto”.
Oggi, ogni qualvolta il sogno di Schuman e Monnet, De Gasperi e Adenauer, sembra esaurirsi, vale la pena chiedersi cosa ci direbbero oggi. Il quadro dell’Unione Europea è molto più complesso: ci sono grandi differenze tra nord e sud, tra est e ovest, tra i “vecchi” e i “nuovi” europei, che hanno portato con loro altre culture. Come integrare una diversità così ampia in un’Europa che non riesce a collocarsi in modo coerente in un mondo globalizzato? Questa è la sfida.
Una cosa è chiara: l’Europa ha bisogno di recuperare lo spirito del 9 maggio, l’audacia e la flessibilità dei fondatori, ancora una volta oltrepassando i confini per scegliere di guardare oltre, per dare futuro alla nostra convivenza, per attualizzare il progetto a partire dai suoi valori fondanti. E questa Europa non può essere una fortezza: è un disegno troppo povero. Robert Schuman ancora una volta ha segnato il nostro percorso: “L’Europa unita prefigura la solidarietà universale dell’avvenire”.

Fonte: www.iu-sophia.org