In Medio Oriente, ma anche più a Est, la fede non è qualcosa che debba rimanere nella sfera privata: la religione ha ancora una pertinenza pubblica, che spesso fa storcere il naso a chi pensa di conoscere tutti i meccanismi della democrazia, come noi europei. Uno dei principi basilari è la separazione tra Stato e Chiesa, tra fede e cosa pubblica. Ogni Paese lo interpreta a modo suo, ma la sostanza è la stessa in Francia, in Germania, in Italia. Sempre più però, questa radicale esclusione dell’afflato spirituale dalla vita pubblica ha creato dei cortocircuiti a cui non si sa dare spiegazione. Pensiamo alla questione islamica, che ormai riguarda l’intera Europa, e non solo il Medio Oriente. Pensiamo pure alla nuova spinta in certi Paesi dell’Europa ex-comunista per un’identità nazionale identificata con un’identità cristiana. Pensiamo alla questione di tante minoranze etnico-religiose maltrattate in tanti Paesi asiatici.
Che quindi un gruppo di deputati delle varie Chiese ortodosse si riuniscano per parlare di politica, riuniti non dalle loro rispettive gerarchie ecclesiastiche, ma da laici impegnati in politica, è un evento che può contribuire certamente alla rinascita di alcuni valori della politica che sono relegati nel dimenticatoio e alla riscoperta della religione come elemento della costruzione sociale e della coabitazione nazionale e internazionale. Così è stato del congresso dell’Associazione parlamentare ortodossa (Iao) con un titolo stimolante anche dal punto di vista filosofico, e non solo politico – “L’unità nella diversità e le libertà fondamentali in Medio Oriente” – che si è tenuto guarda caso all’inizio della Settimana Santa ortodossa (Pasqua è quest’anno l’8 aprile) nel Parlamento libanese, sotto l’egida del presidente della Camera, Nabih Berry, alla presenza di 75 deputati in rappresentanza di 16 parlamenti di Europa, Asia e Medio Oriente. Hanno portato il loro saluto quasi tutte le 18 comunità-minoranze religiose presenti in Libano.
Uno dei promotori dell’iniziativa, il deputato locale appartenente alla “corrente patriotique libre” della regione di Metn, Ghassan Moukheiber, ha sostenuto con forza che «il tema dell’unità nella diversità, argomento centrale nel dialogo interreligioso, è fruttuoso anche in campo politico e deve essere incoraggiato attraverso il moltiplicarsi di incontri e scambi di ogni genere». Corollario evidente proposto a più riprese nel corso del convegno: una tale logica permette di garantire in modo più serio l’esercizio delle libertà fondamentali della persona umana e dei gruppi umani.
In un contesto in cui tutte le comunità etnico-religiose sono state vittime della violenza, in un contesto in cui i cristiani forse più di altre minoranze sono stati presi di mira nei diversi conflitti di questi ultimi anni, il convegno doveva tenersi originariamente in occasione della festa dell’Annunciazione, lo scorso 25 marzo, che in Libano è stata proclamata festa nazionale islamo-cristiana, portando un contributo non di poco conto alla riconciliazione nazionale dopo la guerra civile e l’ultima guerra con Israele del 2006. Ma per ragioni protocollari si è dovuto cambiare data, arrivando a scegliere la Settimana Santa ortodossa, rappresentando in modo precipuo la dimensione propria della politica di queste parti, che è per i deputati cristiani “passione” ma anche “Passione”, con la maiuscola.
Lo scopo del congresso è stato quello di focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle libertà fondamentali come riferimenti di base che sono utili a tutte le comunità, qualunque esse siano, e qualsiasi dimensione abbiano. Si parla dell’uguaglianza davanti alla legge, della libertà di coscienza e di culto, la libertà d’insegnamento, quella della partecipazione politica… Il congresso ha redatto una dichiarazione di sensibilizzazione al tema: la discussione, all’approssimarsi dell’ultimo minuto concesso per gli emendamenti, come spesso accade da queste parti, s’è infiammato: la Siria e le molteplici occupazioni del territorio da parte di diversi eserciti, ultimo quello turco, la questione palestinese e lo spostamento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, la crisi di Gaza, la divisione che permane nell’isola di Cipro, la questione terroristica, la presenza russa nella regione… Deputati della stessa tradizione cristiana si sono trovati in disaccordo sulle questioni più spinose, che li vedono schierati su fronti opposti. È servita la mediazione dei responsabili dell’organizzazione, il segretario generale greco, Andreas Michailidis, il presidente attuale dell’Iao, il russo Sergey Popov e il “fondatore”, Kostas Mygdalis per arrivare a quei compromessi che sono necessari in politica. Una “sperimentazione” sul campo di quanto la “passione” politica debba passare per i cristiani per la “Passione” del Cristo.
testo di Michele Zanzucchi
Pubblicato su Città Nuova il 07/08/2018
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