Intervista a Parag Khanna

Nella visione di Parag Khanna, esperto di relazioni internazionali e autore del best-seller Connectography. Mapping the Future of Global Civilization, la connettività crea una realtà oltre la dimensione statuale in quanto nella maggior parte del mondo si è passati da imperi integrati verticalmente a Stati interdipendenti orizzontalmente. Le mega-infrastrutture superano gli ostacoli naturali e quelli della geografia politica, e la loro mappatura rivela che l’era di organizzare il mondo secondo lo spazio politico (le modalità attraverso cui il globo è suddiviso dal punto di vista legalistico) sta cedendo il passo alla sua pianificazione in senso funzionalistico (come si utilizza lo spazio secondo l’utilità). I confini definiscono le divisioni attraverso la geografia politica; le infrastrutture ci informano sulle connessioni attraverso la geografia funzionale. E la geopolitica è profondamente influenzata dalla geografia funzionale: le vie di trasporto, le reti energetiche e le infrastrutture di internet sono i veicoli attraverso cui si proietta il potere e si esercita l’influenza. 

Come spiegherebbe la rilevanza della connettività nel medio-lungo periodo?

La connettività è la forza più rivoluzionaria che si è palesata nella storia dell’uomo e il trend con maggior durata di lungo termine. L’utilizzo da parte dell’umanità di tutta la tecnologia disponibile per costruire connettività tra città, comunità e individui è semplicemente un fatto antropologico e centrale nella definizione dell’essere umano più del tribalismo, della costruzione di frontiere e muri, o altri strumenti di separazione. Ciò è particolarmente importante da ricordare in periodi storici come quello attuale, dove lo scenario mediatico e politico è dominato da discussioni sul protezionismo economico e sulla protezione dei confini. In realtà, a livello globale, sta accadendo il contrario. Si sta infatti assistendo ad un dispiegamento di connettività fisica di strade, ferrovie, reti elettriche, rotte aeree, cablaggi di internet a fibra ottica ad un livello mai raggiunto. Non abbiamo mai realizzato un grado così elevato di connettività e ad una velocità tale.  Presto ogni singolo essere umano o famiglia avrà un telefono cellulare. La questione non è se saremo connessi, ma come useremo questa realtà e chi ne beneficerà.

Quali sono le infrastrutture della connettività?

Quasi tutta la connettività ricade nelle categorie dei trasporti, dell’energia o delle comunicazioni. Si tratta anche dell’ordine in cui essi hanno acquisito preminenza nella storia umana: mobilità, elettricità e comunicazioni. Oggigiorno consideriamo difficile immaginare di non disporne di tutte e tre, così non penso a questa domanda in termini di un bilanciamento, quanto piuttosto alla necessità di potervi accedere a tutte come condizione imprescindibile per poter vivere una vita dignitosa. Alcune persone mi hanno chiesto: se esiste internet in un villaggio rurale, perché le persone si dovrebbero trasferire nelle città? La risposta è che gli individui si muovono verso le città non solo per usufruire di una connessione internet ad alta velocità ma per essere connesse ad altre persone, per salari più alti, per l’educazione, salute, per comprare e vendere beni, e così via. L’urbanizzazione è forse la più evidente materializzazione del nostro desiderio di essere connessi. 

Lei pensa che l’ascesa delle regioni e la crescita delle città globali – due effetti della connettività – pongano un rischio alla sovranità nazionale?

La sovranità non è un principio immutabile che serve quale fondamento dell’esistenza sociale umana in una prospettiva tale per cui le altre forze (quali la connettività) debbano essere viste come un rischio per essa. Vorrei ribadire nuovamente: la connettività, e non la sovranità, è il principio organizzativo della specie umana. La sovranità esiste come freno o filtro per controllare l’utilizzo della connettività. E per tale scopo, la sovranità è assolutamente vitale. È responsabilità dei governi il determinare cosa dovrebbe e non dovrebbe essere in grado di circolare facilmente tra i confini degli Stati. Un buon modello di governance risiede nel raggiungimento di un bilanciamento corretto. Per esempio, le città detengono una considerevole autorità nel determinare le politiche economiche e migratorie statali e, generalmente, è auspicabile che i governi federali tengano in considerazione gli interessi delle loro città. La Brexit è un esempio lampante dell’opposto: gli elettori rurali hanno superato quelli urbani, e il risultato è stato una perdita per entrambi. Più generalmente, le città leader nel mondo stanno costituendo quella che io chiamo una rete di civilizzazione urbana globale. Non si tratta di un network privo di confini, ma di una piattaforma che permette di eseguire transazioni più o meno liberamente tra loro al fine di sfruttare le complementarietà e i vantaggi comparati. 

La connettività può incrementare l’efficienza complessiva attraverso una rafforzata competizione globale. Lei pensa che ciò possa ritorcersi contro?

Il fatto che vi siano “perdenti” dal processo di capitalismo finanziario e del commercio internazionale non è da attribuire alla connettività – ma si tratta di una precisa responsabilità dei governi che non hanno adempiuto al loro compito di anticipare le perturbazioni agli schemi industriali e del mercato del lavoro esistenti, non modificando le loro politiche fiscali, di investimento, industriali ed educative in modo conseguente alla nuova realtà, e non disponendo di politiche attive di welfare redistributivo.

Traduzione dall’inglese di Alessandro Gili

Fonte: www.ispionline.it