Una grande notizia per il Libano: è stata approvata la nuova legge elettorale che finalmente consentirà di rinnovare il Parlamento. È stata fissata anche la data della consultazione: domenica 6 maggio 2018. Un grande respiro di sollievo per tutti. Saranno passati nove anni dalle ultime legislative, avvenute nel maggio 2009.
Dopo quelle elezioni, alla scadenza istituzionale del 2013 non era stato possibile trovare l’accordo sulla nuova legge elettorale, e il Parlamento aveva prorogato il suo mandato per 17 mesi. Il nodo però non era stato sciolto e il 5 novembre 2014 lo stesso Parlamento aveva emesso un secondo decreto di proroga di altri 21 mesi, fino al 21 giugno 2017.
Nel frattempo, però, il 25 maggio 2014 era scaduto anche il mandato del presidente della Repubblica; e Michel Suleiman aveva lasciato vacante la sede presidenziale. La carica di capo dello Stato, per legge, era stata assunta ad interim dal capo del governo.
Il Paese sembrava bloccato dai veti incrociati e avviato ad una pericolosa deriva istituzionale. Poi, dopo più di due anni, con un guizzo d’orgoglio e di abilità politica, il 31 ottobre 2016 l’accordo ampiamente trasversale fra numerosi partiti (compresi gli sciiti di Hezbollah) ha consentito l’elezione di Michel Aoun a presidente della Repubblica. In novembre, un mese dopo, il nuovo capo dello Stato aveva conferito l’incarico di capo del governo a Saad Hariri. Uno dei primi punti nel programma del nuovo presidente del Consiglio era stato: trovare a tutti i costi la strada per varare la nuova legge elettorale e poter così rinnovare il Parlamento. Però, dopo sei mesi di ipotesi ed estenuanti trattative, ad aprile scorso era di nuovo evidente lo stallo. Mentre il 21 giugno, data di scadenza del secondo decreto di proroga, era ormai pericolosamente vicino. L’Assemblea sembrava avviata a decretare la terza proroga. I malumori del paese si stavano pericolosamente avvicinando all’indignazione contro la casta, quando il presidente Aoun ha imposto il veto all’ulteriore proroga ed ha esortato il governo e il Parlamento a trovare una soluzione a qualunque costo, in un mese o poco più, comunque prima del 21 giugno. Il governo Hariri ha lavorato con impegno insieme a tutti. E la nuova legge elettorale ha avuto il placet dell’Assemblea e del capo dello stato con una settimana d’anticipo sulla scadenza.
È una bella lezione di democrazia quella che il piccolo Paese arabo ha saputo offrire. Va aggiunto, per capire meglio la portata del fatto, che il parlamento libanese è un’assemblea monocamerale composta di 128 deputati, 64 musulmani e 64 cristiani, come prevede la Costituzione, perché il Libano è l’unico Stato al mondo fondato insieme da cristiani e musulmani.
Al tempo in cui venne varata la legge fondamentale dello Stato, questi numeri esprimevano la realtà confessionale del Paese. Tanto che anche i poteri vennero equamente suddivisi: il capo dello Stato deve essere cristiano maronita, il capo del governo musulmano sunnita e il capo del Parlamento musulmano sciita.
Oggi il rapporto numerico fra le confessioni si è modificato, soprattutto perché molti cristiani hanno lasciato il Paese. Probabilmente oggi la popolazione è a maggioranza musulmana, con un po’ più di sciiti rispetto ai sunniti. Ed i cristiani sarebbero poco più del 30 per cento. Ma nessuno sembra intenzionato a modificare la Costituzione, e quindi non è previsto un censimento della popolazione. L’ultimo, ufficioso, è degli anni 70, e l’ultimo ufficiale risale addirittura agli anni 30.
La nuova legge ha introdotto la nozione di “coefficiente elettorale” al fine del conteggio e dell’attribuzione dei voti: lo si ottiene dividendo il numero dei voti espressi (escluse schede bianche e nulle) in ogni circoscrizione (15) per il numero di seggi attribuiti a quella circoscrizione in base al numero degli abitanti. Questo comporta di fatto una sorta di sbarramento che si aggira intorno al 10 per cento. Una soglia piuttosto alta che favorisce le grandi formazioni politiche e penalizza i piccoli gruppi.
Ma, come si sa, ogni legge elettorale ha pregi e limiti. In questo momento, dopo anni e anni di non-accordi, l’aver raggiunto una convergenza che consente di tenere le prossime elezioni legislative sembra già una cosa fantastica, una speranza per il Paese e una conferma della sua vocazione democratica e aperta al dialogo. I militari, come già nella precedente legge elettorale del 1960, continueranno a non avere diritto al voto. La “maggiore età elettorale” rimane a 21 anni.
Fonte: Città Nuova
Scrivi un commento