Fabrizio Cracolici, Alfonso Navarra, Laura Tussi
Mercoledì, 29 Novembre 2017
Dar corpo ad una diversa politica energetica per l’Europa è una necessità assoluta, specialmente dopo gli accordi di Parigi sul clima globale.
Per la verità, attraverso la lente dell’energia interpretata come bene comune si potrebbero traguardare molte delle delusioni di un modello europeo consegnato al mercato, alla espansione della Nato, alla rinuncia della salvaguardia del pianeta. Quando parliamo di un programma energetico per l’Europa lo facciamo battendo i pugni sul tavolo, ma pensandoci “europei”, non italiani. L’Europa per noi è innanzitutto una comunità politica che deve offrire una opportunità alla pace globale: non a caso prende avvio in seguito al ripudio di una storia secolare di guerre sul proprio territorio – perfino la primitiva Comunità del Carbone e dell’Acciaio e i 5 centri di ricerca Euratom per il nucleare nascevano per superare in una dimensione pubblica continentale l’eventualità di nuove contese per il controllo delle risorse strategiche – e deve ora caratterizzarsi, meritando il Nobel ricevuto nel 2012, per un impegno coerente alla promozione della pace, anche all’esterno di essa.
Dobbiamo partire dalla valenza strategica e geopolitica dell’energia come fattore di cooperazione. Sappiamo bene che il modello fossile e nucleare è collegato alla guerra, mentre al contrario il modello rinnovabile è connesso ad una società solidale e governata democraticamente. Le donne e gli uomini in carne ed ossa non sono astratte monadi in interazione (e competizione) ma singolarità concrete, frutto di “campi sociali” che vivono in prossimità ristrette e allargate (il villaggio globale), inserite nella base dei rapporti di produzione e dei cicli ecosistemici, anche essi locali e globali. L’energia perciò è risposta a bisogni umani, allo sviluppo sociale e a esigenze naturali, non equazione per l’equilibrio di sistemi economici: non è per noi questione solo di “efficienza termodinamica” o di “economicità dei costi” o di “emissioni climalteranti” o di “indipendenza geopolitica”. E’ tutte queste cose, ma messe insieme per realizzare, allo stesso tempo ed allo stesso modo:
2) tutela e valorizzazione dei beni comuni e pubblici;
3) occupazione, reddito, lavoro dignitoso e giustizia sociale;
4) potenziamento e diritti delle persone, partecipazione e democrazia locale ed internazionale.
Esiste, in sostanza, un conflitto radicale tra l’energia intesa come prodotto di proprietà di una combinazione tra Stati, imprese multinazionali, strutture militari e, invece, il diritto all’energia dei cittadini, gestito come bene comune. Queste premesse possono sembrare metodologiche, ma servono a chiarire le discriminanti che, in campo energetico, ma non solo, contrassegnano la nostra visione di “Un’Altra Europa” come alternativa alla UE presente.
Questa UE considera – lo dicono i documenti ufficiali NATO – l’energia un “interesse vitale strategico” e per garantire quantità e qualità dei flussi di approvvigionamento energetico è predisposta perfino a fare la guerra nell’ambito del “blocco occidentale” a leadership americana. La crisi ucraina sta dettando i termini di una svolta: la dipendenza da petrolio e gas russo (ed anche nordafricano) deve essere sostituita, dalla fornitura di shale gas americano, per la quale va messa a punto l’infrastruttura adeguata. Il nucleare, in questo contesto, non va ridimensionato, ma conservato e addirittura foraggiato con specifici incentivi e lo attesta l’impegno che Francia, Inghilterra e Polonia rilanciano attraverso i loro accordi in ambito industriale e militare. Altro che il 100% di rinnovabili auspicato dall’europeissimo Hermann Sheer!
L’altra Europa, nella transizione ad un nuovo modello energetico, non può rinunciare a lavorare tutti insieme, europei, americani, russi, cinesi, arabi e quanti altri, “comune umanità”, alla conversione energetica che ci eviterà la catastrofe climatica: l’ultimo rapporto dell’IPCC ci fa intuire che, se salta il tetto dei 2° C di aumento della temperatura, i costi della “riparazione” supereranno quelli di qualsiasi programma di prevenzione e adattamento. In altri termini, l’abbandono dei fossili, il decentramento energetico e la riduzione dei consumi costituiscono il nerbo di una politica economica che affronti la crisi con la rivalorizzazione del lavoro, senza ripararsi dietro l’imbroglio del fiscal compact avallato dai governi delle larghe intese. Il nuovo modello rinnovabile, distribuito sul territorio e nel quale si fa un uso efficiente ed intelligente dell’energia è la base della “rivoluzione” anche culturale che può impegnare in autonomia le menti e le braccia delle nuove generazioni.
Nello spirito dei referendum che hanno vinto in Italia nel 2011, ed il cui significato ha da essere esteso a livello europeo, abbiamo bisogno di una infrastruttura pubblica e di una politica su scala continentale, di eccellenti aziende nazionali e di municipalizzate pubbliche, orientate alla partecipazione e sciolte dai vincoli di borsa e dalle strategie imposte dalle corporation della vecchia economia. Questa UE vuole invece un mercato unico, dominato da pochissimi grandi player privati. L’altra Europa farà il contrario: darà ascolto all’opinione pubblica che, per quanto manipolata, resta tuttavia favorevole ad una gestione dell’energia come “bene comune”, risorsa prevalentemente territoriale, governata democraticamente, estranea al sistema militare di offesa, rispondente ad obiettivi climatici non più procrastinabili. Si può, si deve nello spirito del voto del Parlamento europeo che, il 27 ottobre 2017, si è espresso in favore del bando delle armi nucleari.
Un risultato che è poi stato raggiunto il 7 luglio 2017, la più grande conquista del pacifismo di sempre, con una storica Conferenza dell’ONU che si è svolta nel Palazzo di Vetro a New York. In questa conferenza gli Stati riunitisi a Convegno hanno contestato il TNP – Trattato di Non Proliferazione che legittima il possesso e il monopolio del nucleare solo per alcune nazioni e superpotenze. La maggioranza degli stati in conferenza ha votato per l’interdizione delle armi nucleari, per metterle al bando e dichiararle illegali. Ricordiamo che Fidel Castro in uno dei suoi ultimi discorsi in pubblico ha dichiarato che il suo problema principale era quello di evitare un conflitto nucleare.
Dunque, il 7 Luglio all’ONU si è varato un Trattato per proibire gli ordigni nucleari. Circa 140 governi si sono riuniti a New York in una Conferenza ONU (decisa dall’Assemblea generale il 23 dicembre 2016) e hanno deciso un passo storico per i destini dell’umanità: varare un Trattato per proibire gli ordigni nucleari. Le armi nucleari, dichiarate ufficialmente fuori legge, questa la sostanza del testo adottato, ora dovranno essere effettivamente eliminate.
E’passare dalla nuova legge internazionale al conseguente disarmo il compito solenne che si sono assunti i circa 100 rappresentanti della societá civile internazionale, organizzati in ICAN, che hanno partecipato direttamente ai lavori della Conferenza. Si è riusciti a migliorare la bozza iniziale del testo di Trattato, presentato dalla presidente Elayne Whyte Gómez, rappresentante del Costa Rica. Ma ancora parecchio resta da fare e si vedrá di rimediare con gli appuntamenti futuri, in cui sará possibile emendarlo, ad esempio sulle questioni del nucleare civile e della possibilitá di recesso. Il Trattato di Non Proliferazione, che legittima gli arsenali delle potenze nucleari, dovrá ora essere assorbito da questa nuova cornice giuridica “proibizionista”: verrá attuato quanto previsto dall’art 6 del TNP che prevede “trattative in buona fede per arrivare ad un effettivo disarmo totale”.
Il prossimo appuntamento è fissato sempre a New York nel 2018 con una Conferenza ONU di alto livello (risoluzione 71/71 del 15 dicembre 2016): potrá essere l’occasione di un primo compromesso tra Stati non nucleari e Stati nucleari: USA, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia, India, Pakistan, Israele non hanno partecipato a questa Conferenza e per il momento non riconoscono il nuovo strumento giuridico. Paradossalmente l’unico Paese ad avere votato nel dicembre 2016 perché la Conferenza si tenesse, è stata la Corea del Nord, che poi non ha partecipato ai suoi lavori.
Anche l’Italia, ligia alla “condivisione nucleare NATO”, non ha partecipato: il nostro impegno è, premendo dal basso, di fare cambiare atteggiamento al governo italiano, a partire da varie discussioni previste al Senato. E’ nell’interesse di tutti che il mondo sia liberato dalla minaccia nucleare: la guerra atomica puó scoppiare persino per caso, per incidente o per errore. Un piccolo scambio di missili, provocando l’inverno nucleare, puó in ogni caso provocare una catastrofe di immani proporzioni con centinaia di milioni di morti nel corso degli anni.
Scrivi un commento