di Silvio Minnetti
Fonte: Città Nuova
Un confronto aperto su questioni decisive per il nostro Paese. Parlamentari, economisti, studiosi e rappresentanti delle parti sociali dialogano in uno degli appuntamenti di Loppiano Lab 2018
Di fronte ai cambiamenti tecnologici in atto è necessario distribuire i posti riducendo gli orari? Lavorare meno per lavorare tutti insomma? Quale il ruolo di un reddito di cittadinanza o di inclusione? Sono questi gli interrogativi al centro di uno dei laboratori di Loppiano Lab promosso dal Movimento politico per l’unità Italia, sabato 29 settembre dalle ore 11,00 al Polo per l’economia di comunione Lionello Bonfanti.
Gli interlocutori disposti a confrontarsi sulla questione sono il senatore Steni Di Piazza (M5S), il deputato Stefano Lepri del PD, Cristina Guarda, giovane consigliera regionale del Veneto, l’economista civile Alessandra Smerilli, il presidente degli imprenditori di Economia di Comunione-Aipec, Livio Bertola e il sociologo Marco Revelli.
Una delle sfide più difficili dei prossimi vent’anni è sicuramente quella del lavoro. Le macchine intelligenti ci impongono di prepararci alla rivoluzione economica in arrivo. Martin Ford in Il futuro senza lavoro, Il Saggiatore, Milano 2017, ha uno sguardo raffinato sui nostri possibili futuri.
Nella storia del capitalismo il timore che le nuove tecnologie possano distruggere il lavoro è stato sempre smentito. Oggi, nell’epoca dell’automazione diffusa, della tecnologia dell’informazione, di Internet delle cose, dell’intelligenza artificiale, i dati ci dicono che sono stati creati meno posti di lavoro di quelli usurpati dalle macchine. Le macchine intelligenti stanno trasformando tutti i settori dell’economia. Siamo ben oltre la robotizzazione dell’industria e dei lavori più monotoni.
È a rischio non solo il lavoro in fabbrica ma anche quello nel settore dei servizi. Grande recessione, indebitamento crescente, disoccupazione di lungo termine, ristagno dei salari, disuguaglianze nei redditi possono avere una “lettura tecnologica”? Occorre ripensare il sistema economico ed il welfare sulla base del paradigma della condivisione proprio dell’economia civile.
Il reddito di inclusione ed il reddito di cittadinanza possono sostenere la ricerca di nuovi lavori in un mondo in cui la tecnologia offrirà maggiore benessere, prosperità e tempo libero?
Domenico De Masi nel suo poderoso volume Il lavoro nel XXI secolo, Giulio Einaudi, Torino 2018, afferma: «Siamo presi dal pessimismo perché il progresso tecnologico elimina più manodopera di quanta riusciamo a riassorbirne…. In pochissimi anni le operazioni del settore agricolo, minerario, manifatturiero sono state realizzabili con un quarto dell’energia umana che eravamo abituati ad impegnarvi…. La trasformazione avverrà gradualmente. In una prima tappa, di natura organizzativa, durante la quale il lavoro diminuirà drasticamente senza ancora scomparire del tutto, occorrerà ridistribuirne il residuo in modo che ognuno possa essere occupato sia pure per un tempo minimo». Sono esplosi nel frattempo i cosiddetti lavoretti ed i lavori temporanei. Abbiamo poi chi ha un lavoro e soffre per mancanza di tempo libero, a causa degli straordinari detassati o regalati da manager e quadri, e chi non ha un lavoro e soffre per mancanza di reddito.
Una visione più positiva quella di Jeremy Rifkin: «È necessario costruire ed estendere una nuova infrastruttura intelligente di Terza rivoluzione industriale ( Tri) ad alto tasso di integrazione digitale, che dovrà comprendere anche una rete Internet 5G, un Internet dell’energia rinnovabile digitalizzata, un Internet della mobilità automatizzata basata su veicoli elettrici e ad idrogeno, circolanti in tessuti urbani intelligenti collegati interattivamente nell’Internet delle cose ( IdC)».
Altro tema caldo è il reddito minimo condizionato dall’accettazione di almeno una su tre proposte di lavoro del centro per l’Impiego. «Ma dove le si va a prendere le tre proposte di lavoro se non si creno nuove dinamiche occupazionali e professionali?» si chiede provocatoriamente lo stesso Rifkin? Il nostro Paese può uscire dalla crisi più forte e diventare un modello, a suo avviso.
Scrivi un commento