di Romano Prodi.
Fonte: Il Messaggero, 05 luglio 2015
In queste ore il popolo greco sta decidendo se aderire alle proposte di compromesso dell’Unione Europea o se rifiutarle.
La scelta fra il si e il no è certamente importante per le sorti del governo greco e per i rapporti di forza che si verranno a stabilire nelle trattative successive. L’Unione Europea è infatti decisa a sbarazzarsi di Tsipras entrando a piedi pari nella campagna elettorale, mentre l’attuale governo greco vuole rafforzare con un no la sua capacità contrattuale.
Tuttavia, a differenza di tanti altri osservatori, pur ritenendo che il voto di oggi sia molto importante, penso che le trattative con la Grecia andranno avanti in ogni caso e che si arriverà forzatamente ad un compromesso, anche se sarà un brutto compromesso, destinato più a rinviare i problemi che a risolverli. Tuttavia un compromesso ci sarà e il referendum è destinato a stabilire soltanto i relativi punti di forza e di debolezza della necessaria trattativa.
Questo perché un prolungato danno all’economia e alla politica europea si è già consumato e nessuno al mondo ha interesse a che il danno si trasformi in tragedia. Non ne hanno interesse i leader mondiali, a cominciare da Obama e Xi Jinping, perché hanno paura che uno sfaldamento progressivo dell’Euro provochi una nuova tempesta in tutto il sistema economico e politico mondiale. Non ne hanno interesse i leader europei perché non vi è tra di loro nessun accordo e nessuna idea di quello che potrebbe capitare dopo. La stessa cancelliera Merkel, che sta progressivamente accorpando su di sé tutte le grandi decisioni dell’Unione, viene da un lato strattonata dalla CSU bavarese che, per bocca del ministro delle finanze Schaeuble, ripete a gran voce che, cacciando dall’Euro la Grecia, tutti i problemi futuri dell’Europa sarebbero risolti. Da un altro lato tuttavia la Cancelliera non può non tenere conto di un invito ad una minore rigidità che le viene dalle Istituzioni europee, da altri paesi dell’Unione e soprattutto dal Presidente Obama che, negli ultimi tempi, ha attivamente rafforzato, con il sigillo americano, la leadership tedesca in tutti i grandi eventi che hanno coinvolto l’Europa, a cominciare dalla crisi Ucraina.
La settimana che abbiamo alle spalle è molto significativa in materia perché, appena il presidente francese Hollande ha accennato ad una possibile trattativa allo scopo di sdrammatizzare il referendum, da parte tedesca si è subito concluso che non era il caso di parlare con i greci prima dei risultati delle urne. A questo punto nessun altro leader ha aperto bocca perché, nella fase storica in cui siamo, si può dire che “Berlino locuta causa finita.”
È bene dire che tutto ciò è avvenuto non per l’arroganza teutonica: oggi la Germania è forte per il combinato disposto fra le sue grandi virtù e le altrettanto grandi debolezze altrui. Una Francia indebolita dalle tensioni interne, una Gran Bretagna che è indecisa.
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