Il “Frente Amplio per il Venezuela” è l’ultima scommessa dell’opposizione per evitare un inesorabile governo a vita del presidente Maduro. Giovedì è stata presentata la nuova alleanza politica. Di fatto, un allargamento della frammentata Mud, arricchita da organizzazioni studentesche, accademiche, aziendali (in prima fila la federazioni delle camere di commercio, dell’industria e dell’imprenditoria), dei lavoratori (presenti i maggiori sindacati) e religiose, fra cui il presidente del consiglio nazionale delle Chiese Evangeliche ed esponenti di rilievo della Chiesa Cattolica. Il Frente ha già convocato due cortei popolari per il 12 e il 17 marzo, una sorta di ultima spiaggia, espressione di un obbligo morale più che di un tentativo plausibile. Ma bisogna mostrare al mondo che in Venezuela non si molla, e così evitare che si allenti la pressione internazionale.
Una sola la richiesta delle piazze mobilitate: il rinvio delle elezioni a gennaio, per guadagnare ossigeno e cercare garanzie perché la scelta del presidente e dei parlamentari sia il più possibile trasparente e democratica, condizioni impossibile da ottenersi se si votasse il 20 maggio, alla data stabilita dal regime. Al battesimo della nuova coalizione civica c’era un clima di moderata speranza – è stato comunque fatto un passo in avanti, dimenticando le divisioni e gli opportunismi personali –. Quasi tutti gli oratori si sono sentiti in dovere di richiamare l’attenzione sull’importanza strategica dell’unità e del superamento dei risentimenti per le deleterie fughe in avanti del passato attuate dall’una o dall’altra parte della Mud. Tra gli oratori c’era pure il giovane chavista Alí Gómez («Non mi sono fatto rivoluzionario per vedere i miei compatrioti andarsene dal Paese o frugare nella spazzatura»), ha invitato tutti a unirsi al movimento.
I dirigenti politici che hanno preso la parola hanno insistito sulla necessità della rappresentazione più ampia e trasversale possibile, che integri tutti i settori vivi della società venezuelana. Una piattaforma articolata di proposte e strategie accompagnerà le denunce contro gli abusi autoritari del governo, coordinata dagli elementi accademici del Frente, tra cui rappresentanti di docenti e studenti delle università statali e della Cattolica Andrés Bello, con in prima fila il rettore, don José Virtuoso. «La destra e la sinistra non sono il problema. La corruzione e la mancanza di onestà lo sono», ha efficacemente sintetizzato Johnny Montoya, rappresentante delle vittime della repressione delle forze dell’ordine. «La novità di questa iniziativa – spiega il giornalista Gabriel Pineda – è il protagonismo della società civile più che dei partiti, cosa che rende più difficile piegare la resistenza popolare».
Il giorno 12, allora, una marcia raggiungerà la sede Onu di Caracas per persuadere l’organizzazione a non partecipare come osservatore internazionale all’atto elettivo del 20 maggio, per non legittimarlo, bensì ad unirsi alle pressioni per raggiungere le condizioni minime per delle elezioni davvero libere e trasparenti. Sabato 17, invece, gran protesta nazionale contro il regime madurista. Nonostante ripetuti appelli, si mantengono ancora sostanzialmente fedeli al governo le forze dell’ordine, cooptate sin dai tempi del comandante Chavez con privilegi e una partecipazione che permette di definire il governo attuale, anche a livello ufficiale, come civico-militare. Chi si è chiamato fuori è regolarmente finito in carcere.
Ancora difficile far previsioni circa l’esito di quest’ultima mossa dell’opposizione. Certamente aumenta la pressione interna ed esterna sul governo ormai chiaramente antidemocratico di Maduro e i suoi fedelissimi. Impossibile poi tacere le voci della disperazione delle migliaia di emigranti che varcano ogni giorno i confini con la Colombia e il Brasile, diretti soprattutto in Cile, Ecuador e, in misura minore, in Argentina e Perù. I più non hanno niente, e devono giocoforza rifarsi una vita. Altri cercano semplicemente cibo, medicine, pezzi di ricambio e articoli introvabili in patria per poter lavorare. Gli abitanti di Caracas parlano ormai di una città fantasma, dove chiudono persino i ristoranti di strada e nei negozi non si trova praticamente nulla. La denutrizione infantile è il nuovo temibile spettro che si aggira in città e nelle campagne, indicato dalle istituzioni sociali della Chiesa e dalle Ong del settore sanitario. Tuttavia nulla di questo pare scalfire la sicurezza della cupola del Psuv, che va avanti imperterrita sulla sua strada. Improbabile che il petro, la nuova criptomoneta a prova di manipolazione imperialista, possa salvare un’economia in agonia, che ha perso in due anni quasi 30 punti di Pil. La gente, dopo i disperati saccheggi di mesi or sono, spaventata dalle reazioni di polizia e militari, fa piani per emigrare – non c’è famiglia che ne abbia una qualche possibilità che non lo stia pensando – o per resistere in modo sempre più forzosamente creativo. Le sanzioni economiche internazionali non servono: ormai la gente non ha più la forza e l’incoscienza di reagire violentemente contro il sistema. La speranza è riposta nell’ampiezza della mobilitazione del nuovo Frente Amplio.
Fonte: Città Nuova
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