Di Carlo Cefaloni
Fonte: Città Nuova
Europa, le radici e i frutti. Il 2021 è cominciato, tra l’altro, con le immagini di centinaia di persone esposte al gelo in Bosnia. È difficile organizzare i soccorsi in un territorio attraversato da tante contraddizioni e dalle ferite non rimarginate di una guerra, quella della ex Jugoslavia, che abbiamo rimosso dalla nostra memoria continuando a ripetere che l’Europa vive in pace dalla fine del secondo conflitto mondiale. Di fatto la strategia politica dell’Unione europea è stata quella di fermare l’afflusso di migranti sulla rotta balcanica concludendo un accordo miliardario con la Turchia di Erdogan. Nonostante tale contenimento forzato nei campi turchi, resta una frazione di umanità in fuga che si scontra con il muro eretto alle frontiere dell’Unione.
«Sono in prevalenza ragazzi Afghani, Siriani, Iracheni. Provengono da Paesi che i governi europei hanno contribuito a radere al suolo e su cui oggi non siamo capaci di assumerci una responsabilità». Cerca di dare loro un volto e una storia l’appello promosso da Pietro Bartolo, il famoso medico di Lampedusa eletto al Parlamento europeo, e che ha ricevuto diverse adesioni significative, tra le quali quella di Mario Bruno, presidente del Mppu internazionale.
L’intervento umanitario, inteso a trovare una sistemazione degna alle 3 mila persone rimaste senza una dimora decente, è stato chiesto anche dall’Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, rivolgendosi alle autorità bosniache assicurando ben 3,5 milioni di euro necessari per sistemare, contro parte della popolazione locale, un centro di accoglienza di Bira, a Bihac nel cantone dove tra l’altro è presente e attiva fin dal 1997 una ong italiana, l’Ipsia Acli che collabora con la Croce Rossa.
Ma per rimuovere le cause che conducono alla formazione di questa sorta di limbo, dove si scaricano le contraddizioni di una certa gestione migratoria continentale destinate ad esplodere periodicamente, occorrono concrete e difficili scelte politiche.
Un’analisi dettagliata della complessità della rotta balcanica si può trovare nel contributo di Gianfranco Schiavone presente nel dossier “Costretti a fuggire…ancora respinti” prodotto dalla Fondazione Migrantes. Cioè dall’organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana.
Ad essere prese di mira sono, in particolare, le pratiche delle “riammissioni senza formalità” e cioè «lo strumento con cui l’Italia prima ed a catena tutti gli altri Paesi europei sulla rotta balcanica respingono i richiedenti asilo in deroga alle convenzioni internazionali ed alle stesse leggi europee in materia di diritto d’asilo». In tal modo i migranti che riescono comunque ad attraversare il confine italiano «vengono consegnati alla polizia Slovena, poi a quella Croata ed infine respinti in Bosnia, abbandonati in tendopoli fatiscenti tra le montagne e sotto la neve».
“Conoscere per capire” è l’intenzione della notevole documentazione prodotta in questi anni dalla società civile organizzata. Il “capire” presuppone la necessità di agire di conseguenza per cercare di rimuovere le cause delle gravi violazione dei diritti umani che si consumano sul nostro fronte orientale.
L’appello lanciato da Bartolo e altri entra perciò nel dettaglio rivolgendosi ai governi europei, tra i quali l’Italia, coinvolti nelle pratiche di respingimento illegali sul confine orientale perché «interrompano immediatamente ogni attività di questo tipo applicando la legislazione europea ed internazionale in materia di diritto d’asilo e tutela dei diritti umani».
L’altra richiesta esplicita avanzata nell’istanza, che finora ha trovato poca attenzione sui media, è quella rivolta alla Commissione ed al Consiglio Europeo per istituire non solo una missione umanitaria europea di soccorso ma di predisporre «un piano straordinario per l’accoglienza che preveda una distribuzione tra tutti Paesi membri delle persone che arrivano in Europa». Si tocca così uno dei nodi irrisolti della politica europea che mettono in pericolo la stabilità dei governi assieme alla convinzione implicita che ogni apertura verso una politica di accoglienza verrebbe colto come un segnale di attrazione per altri migranti in fuga, con l’effetto di far crescere il consenso delle forze nazionaliste che agitano la questione migratoria come un pericolo di invasione incontrollata.
Si intuisce, perciò, la situazione attuale di stallo pur davanti ad un’umanità in pericolo e a soluzioni politiche ancor più difficili da prendere nel pieno degli effetti sociali ed economici, oltre che sanitari, della pandemia da Covid 19.
Eppure, come ribadiscono i firmatari dell’appello, è proprio questo il momento per adempiere al «dovere morale prima ancora che legale di accogliere queste persone, di far valere le leggi che noi stessi abbiamo scritto nelle nostre costituzioni per proteggere chi fugge da guerra, persecuzioni e trattamenti inumani».
A partire da questa istanza esigente, che chiama in gioco la responsabilità politica e il legame di fraternità tra gli esseri umani, che nasce l’iniziativa (Europa e rotta balcanica, fermare il disastro umanitario) promossa il 5 gennaio da Città Nuova, assieme al Movimento politico per l’unità, per ascoltare la testimonianza diretta di chi opera da decenni su tale terra di confine e di coloro che hanno deciso di non restare indifferenti e di cercare una soluzione secondo giustizia e umanità.
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