di Romano Prodi
“Dai democratici Usa viene un esempio per le sinistre Ue”
L’ex presidente del Consiglio: «Candidati moderati e gruppi etnici per poter battere i partiti populisti. Facendo tornare il primato della politica»
Intervista di Fabio Martini a Romano Prodi su La Stampa del 8 novembre 2018
Sempre in giro per il mondo, tra Cina e Stati Uniti, Romano Prodi propone una lettura “globale” delle elezioni americane: “In questa campagna elettorale si è manifestato un dato molto interessante: Trump non ha cavalcato i temi dell’ economia, che pure era trionfale per lui. Certo Bill Clinton, per attaccare Bush che se ne era dimenticato, diceva “It’ s the economy, stupid“. E anche noi abbiamo imparato che le elezioni si vincono col portafoglio. Eppure così non è stato e si è manifestato un fenomeno che avanza da qualche tempo in molte parti del mondo: la rivincita della politica sull’ economia!”.
E in cosa consiste questa rivincita?
“Da un lato c’ è il desiderio di autorità, che circola in tanti Paesi del mondo, dalla Cina all’ Iran, dalla Turchia fino al Brasile e a tanti Stati africani. Lo stesso desiderio che percorre i partiti populisti e nazionalisti in Europa e anche da noi e che ha portato ad una autentica strage dei corpi intermedi, del check and balance, con Parlamenti che oramai è come se non esistessero più”.
Una politica che mette in riga il potere economico?
“Certamente e questo è il secondo aspetto originale di questa fase: la politica ha ripreso a comandare sull’ economia. Trump, anche contro gli interessi di multinazionali che hanno una forza economica impressionante come Apple, Nike, mette i dazi alla Cina. E quale è stata la reazione? Zero!”
Anche tra i democratici c’ è questo ritorno al primato della politica?
“Anche loro, come Trump, hanno fatto ricorso ad armi politiche, pur diverse da quelle di Trump. Una su tutti: la condizione umana. E dunque Welfare, sanità, squilibri, ingiustizie. Certo, con comportamenti elettorali diversi da zona a zona: in alcune realtà i candidati quasi-socialisti hanno vinto e in altre hanno perso nettamente. Ma questa è l’ America, la sua proverbiale diversità”
Gli elettori democratici hanno premiato in molte zone i loro candidati anti-establishment, non quelli degli altri: un segnale anche per le realtà europee?
“I democratici si sono presentati con candidati moderati e liberal e in alcuni casi hanno cavalcato il radicalismo, le minoranze etiche ed etniche. Grazie a questo e al risultato finale, con due Camere di diverso orientamento, è tornato il check and balance”.
Un segnale per l’ Europa?
“Se alle prossime elezioni avessimo due candidati, uno dello schieramento moderato e uno del fronte progressista, che si sfidano con piattaforme diverse, avremmo una grande battaglia e un ritorno alla politica. Stiamo ai fatti. Il Ppe, almeno per ora, si sposta destra, anche per “tenere” Orban, i baveresi. Uno spostamento che renderebbe possibile, anche se non facile, una coalizione alternativa tra socialisti, liberali, verdi e macronisti con un unico candidato per la presidenza della Commissione europea”.
Il risultato americano, unito al mancato boom populista dove era annunciato (Francia, Germania, Svezia, Olanda) significa che quel vento si è fermato? I populisti cominciano a far più paura di quanta ne mettano in circolo per conquistare consensi?
“Nel prossimo Parlamento europeo immagino che conquisteranno tra i 150 e i 200 seggi su oltre 700. Ma il problema è un altro: come si organizzano le altre forze. I democratici americani, dopo la sconfitta di Hillary Clinton, hanno proposto un’ offerta alternativa”.
Ma da secoli tutto quello che si manifesta in America prima o poi arriva anche in Europa: i segnali di ripresa progressista arriveranno anche in Italia?
“E’ possibile ma non è detto. Una opposizione fallisce sempre se non si trasforma in una alternativa: in Italia c’ è una opposizione ma è molto frammentata. Sminuzzata. Un elettore vota una proposta alternativa se spera che questa vinca. Per alcuni il voto può rappresentare una testimonianza, ma di solito quegli elettori non bastano a vincere”.
I democratici americani in molte realtà sono ripartiti dal basso, i democratici italiani ripartono da personalità solide ma temprate da anni e anni di istituzioni. Bene o male?
“Ogni Paese ha la sua ricetta per ripartire. Negli Stati Uniti c’ è stato un ritorno di giovani entusiasti, donne battagliere, contributi economici di piccolo taglio. Qui da noi servirebbe un grande dibattito che vada oltre i partiti su disparità, sicurezza, emigrazione, giovani ricerca e scuola. Una scomposizione che deve partire dal basso, cercando una ricomposizione. Con una raccomandazione: un tweet può concludere un ragionamento, ma non può mai iniziarlo!”.
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