Un secolo dopo l’Appello ai Liberi e Forti si avverte la necessità che da quel serbatoio di idee, esperienze e progetti costituito dal variegato mondo cattolico possano venire nuovi contributi per la gestione della cosa pubblica, per ridefinire insieme a tutti un’idea di Paese e di Europa adeguati alle sfide del nostro tempo.
Non solo per gli autorevoli inviti rivolti in tal senso dai vescovi, a partire da Papa Francesco e dal presidente della Cei card. Bassetti, ma anche per un oggettivo radicamento del cattolicesimo sociale e politico che ancora permane nella vita del Paese.
Molte delle iniziative sociali svolte da organismi di ispirazione religiosa nel campo dell’assistenza, dell’educazione, del volontariato affrontano storture derivanti da un sistema economico che riflette quella cultura dello scarto più volte denunciata dal pontefice, e che produce povertà, disuguaglianze e instabilità politica e sociale crescenti.
Ma, quasi per un paradosso, non pare esservi da parte dei cattolici, con l’eccezione della voce profetica di papa Bergoglio e di poche altre, altrettanta capacità di tradurre e di comporre in progettualità politica con il necessario risalto le idee e le istanze che emergono da una grande pluralità di esperienze. In questo senso credo si debba constatare una persistente marginalità politica dei cattolici dalla politica, in termini di idee prima ancora che di persone. E questo nonostante il fatto che le direttrici di una tale nuova elaborazione progettuale siano ben chiare a tutti.
La nostra epoca ci chiede di rimettere la persona al centro, anziché il denaro, che, come non si stanca di ricordarci il papa, “deve servire e non governare”. Di ridisegnare dei nuovi legami di solidarietà tra le persone e i popoli al posto dell’indifferenza o della ricerca del dominio di una parte sull’altra. Di manifestare rispetto per il creato e di adoperarci per uno sviluppo sostenibile e integrale, che abbracci la dimensione spirituale e quella materiale dell’uomo.
Forse ciò che manca attualmente in confronto ad altre stagioni del passato da parte dei cattolici, è la fiducia nel futuro, nel fatto che i sistemi sbagliati che offendono la dignità della persona e ne limitano le possibilità di crescita, si possono cambiare.
Manca la giusta risolutezza dell’affermare il primato della democrazia sull’economia e sulla finanza, sostituita da una infondata fiducia sul pilota automatico costituito dalle tecnocrazie e dalle oligarchie, che si presenta ingannevolmente come l’unico possibile, senza avvertire con la dovuta lucidità che tale percorso è avviato nel vicolo cieco della sua insostenibilità sociale ed economica, foriera di futura grande instabilità politica.
Per agire c’è da aspettare che tutti i cattolici si trovino d’accordo sul da farsi? La risposta è no, e ce l’hanno data un secolo fa quei cattolici guidati da don Luigi Sturzo che decisero di rischiare in proprio e laicamente si misero in gioco per i loro ideali e per un loro specifico programma. Mi pare una indicazione utile anche per il presente. Quanti, fra i cattolici, avvertono una comune agenda di priorità politiche, non hanno che da mettersi insieme tra loro e con tutti gli altri cittadini che condividono i medesimi obiettivi, per cercare di raggiungerli con gli strumenti della democrazia.
Altra cosa mi sembrano invece, i pur rispettabili tentativi di censire l’esistente, di aggregarlo su una base puramente identitaria, che, a ben vedere, nel concreto si restringe alla comune confessione religiosa e lascia aperte opzioni politiche diverse. Come pure sembrerebbero destinati a un ruolo subalterno quei tentativi di dare voce a una grande esigenza di giustizia sociale che emerge in relazione al processo di decadimento della classe media e lavoratrice in Italia e nell’intero Occidente, se non sono disposti ad affrontare le cause economiche che producono i suddetti squilibri sociali, le cui vittime, in carenza di proposte politiche credibili, finiscono per dare il loro consenso a chi, a proprio modo, cerca di rispondere al loro diffuso disagio.
Per queste ragioni credo che l’attenzione vada posta più sui contributi che, anche dal mondo cattolico, possono giungere ad affrontare le contraddizioni molto serie di un modello economico che ha prodotto inaudite disuguaglianze e sta generando una situazione sociale vieppiù esplosiva e problematica per la tenuta dell’ordinamento democratico, piuttosto che su sigle e contenitori nuovi solo di facciata.
Non trovo migliore sintesi di ciò che quanto scritto sulle colonne di Città Nuova qualche tempo fa: «non si tratta di creare contenitori posticci, quanto di partire dai contenuti per nuovi soggetti capaci di rappresentare la ricchezza sociale di un Paese migliore di quel che appare».
DI GIUSEPPE DAVICINO
FONTE: CITTÀ NUOVA
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