Con gli auguri migliori per la Pasqua, pubblichiamo questo testo di Aldo Moro (1916-1978).
Politico ed accademico italiano, presidente del partito della Democrazia Cristiana, cinque volte presidente del Consiglio dei Ministri. Fu rapito il 16 marzo del 1978 e poi ucciso il 9 maggio dello stesso anno dal gruppo terrorista delle Brigate Rosse.
L’articolo fu pubblicato sul quotidiano “Il Giorno” il 10 aprile 1977, in occasione della Pasqua, un anno prima del suo assassinio.
“Le feste cristiane conservano, anche in una società largamente laica, il potere di commuovere gli animi e predisporre ad una considerazione più attenta delle cose.
La Pasqua evoca la redenzione dell’uomo, che è in fondo la meta di ogni sforzo morale e di ogni impegno politico. Se la redenzione è l’affermazione di un valore fuori discussione e perciò, in sé, perfetta e compiuta, molti disegni di vita individuale e sociale sono invece in via di faticosa attuazione ed incontrano difficoltà gravi e talvolta insuperabili. Ma il principio resta, illuminante e stimolante.
Il significato di questa giornata è nel riscontrare che, in modo mirabile e misterioso, vi sono oggi, vi sono ora tutte le condizioni, perché l’uomo sia salvo, salvo per tutta intera l’estensione dell’esperienza umana.
E’ un giorno di gioia, perché la salvezza è alla nostra portata. Ma è anche un giorno di preoccupazione, di critica e di ripensamento nel raffronto tra l’enorme possibilità offerta ed il ritardo, la limitatezza, la precarietà di ogni conquista umana; tra il bene dell’armonia e della pace, il quale contrassegna la pienezza della vita, e la realtà delle divisioni che separano l’uomo dall’uomo e lacerano il mondo.
La storia sarebbe estremamente deludente e scoraggiante, se non fosse riscattata dall’annuncio, sempre presente, della salvezza e della speranza. E non parlo naturalmente solo di salvezza e di speranza religiose. Parlo, più in generale, di salvezza e di speranza umane che si dischiudono a tutti coloro che hanno buona volontà. La gioia pasquale, della redenzione dell’uomo, della pienezza dell’uomo, della comune dignità e concordia degli uomini che sono chiamati a vivere insieme, non lascia nessuno indifferente, proprio perché essa corrisponde ad una esperienza più larga e costituisce il simbolo altamente emotivo della generale vocazione ad andare al di là comunque di se stessi e a dare senso più pieno e autentica dignità alla vita.
L’esperienza politica, come esigenza di realizzare la giustizia nell’ordine sociale, di superare la tentazione del particolare, per attingere valori universali, è coinvolta dunque nello sforzo di fare, mediante il consenso e la legge, l’uomo più uomo e la società più giusta. Il che vuol dire perseguire, con gradualità e limiti certo inevitabili, la salvezza annunciata, ad un tempo luminosamente certa e paurosamente lontana.
Questo può essere forse un rasserenante richiamo in una giornata come questa. Tutto quello che si muove nel mondo, sia nel chiuso insondabile delle coscienze sia nella grande arena del collettivo e dell’esterno, ha la stessa molla che lo muove, la stessa difficoltà che lo mette alla prova, lo stesso sforzo e sacrificio che lo contrassegna, la stessa nobiltà di un traguardo esaltante.
Possiamo tutti insieme, dobbiamo tutti insieme sperare, provare, soffrire, creare, per rendere reale, al limite delle possibilità, sul piano personale come su quello sociale, due piani appunto che si collegano e si influenzano profondamente, un destino irrinunciabile che segna il riscatto dalla meschinità e dall’egoismo.
In questo muovere tutti verso una vita più alta, c’è naturalmente spazio per la diversità, il contrasto, perfino la tensione. Eppure, anche se talvolta profondamente divisi, anche ponendoci, se necessario, come avversari, sappiamo di avere in comune, ciascuno per la propria strada, la possibilità ed il dovere di andare più lontano e più in alto.
La diversità che c’è tra noi non ci impedisce di sentirci partecipi di una grande conquista umana.
Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino; è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo.
La pace civile corrisponde puntualmente a questa grande vicenda del libero progresso umano, nella quale rispetto e riconoscimento emergono spontanei, mentre si lavora, ciascuno a proprio modo, ad escludere cose mediocri, per fare posto a cose grandi.
Il motivo che più amareggia ed offusca la speranza di questi giorni è la constatazione non tanto della divisione, quanto di una divisione sottolineata e difesa dalla forza brutale ed ingiusta; della violenza aperta e di quella paurosamente tramata nell’ombra e non per contrastare altra violenza cristallizzata e potente, ma proprio per contestare la libertà, nella quale si cammina verso il superamento di un passato finito e l’apertura di nuovi e più ampi orizzonti.
C’è, soprattutto in questi giorni, del male personale e sociale da sradicare, del bene, visibile o, com’è più probabile, non visibile da esaltare.
Ma c’è, in tutta evidenza, lo squallido spettacolo della violenza, sempre meno episodico, purtroppo, sempre più finalizzato alla degradazione ed all’imbarbarimento della vita, di fronte al quale è nostro dovere prendere posizione. Ne sono corrose le basi della convivenza civile ed è messo in causa lo Stato.
Restaurare lo Stato, rispettoso dei diritti ma intransigente contro ogni violazione e specie quelle che toccano la vita democratica, è un’inderogabile esigenza politica, da attuare con il minor numero possibile di parole ed invece con fatti stringati, come i tempi stringenti richiedono.
Si chiamano in causa utili convergenze delle forze politiche sulle quali è doveroso portare l’attenzione con grande serietà e responsabilità. Ma tutto questo non sarebbe appropriatamente evocato nel giorno di Pasqua, mentre la gioia della liberazione è fortemente attenuata da incredibili contestazioni dei valori della convivenza, se si trattasse solo di un fatto politico che richieda un attento ripensamento nel suo proprio ambito.
Ma c’è di più, che siamo posti dinanzi ad un fatto allarmante che va cancellato essenzialmente nel nostro spirito; un segno vistoso di quella inammissibile vecchiezza, di quella insopportabile stortura, di quell’offesa all’umanità, per sradicare le quali, tra l’altro, è stato pagato un così alto riscatto e reso possibile un consolante annuncio di salvezza, di dignità, di libertà e di pace.”
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