È stato un annuncio shock quello delle dimissioni del Primo Ministro libanese Saad Hariri, sabato scorso. Il Paese è col fiato sospeso. La domanda che tanti si pongono qui a Beirut, senza quasi osare pronunciarla, è soprattutto: e adesso che succederà? I libanesi temono che le inquietanti dimissioni del premier possano aprire la porta a una serie di conseguenze catastrofiche, e la più temuta è una nuova invasione israeliana del Libano (come nel 2006) contro Hezbollah, il partito sciita libanese che con le sue milizie armate si muove con molta disinvoltura nei confronti dello Stato e delle istituzioni libanesi, con il più o meno esplicito consenso del presidente Michel Aoun.
Ma andiamo con ordine e guardando ben oltre il Libano, perché le dimissioni di Hariri non sono certamente un episodio isolato che riguarda solo il Paese dei Cedri. Sabato 4 novembre scorso il premier libanese (che è musulmano sunnita) vola a Riad: sembrerebbe una normale visita di Stato, ma dopo qualche ora, e direttamente dalla capitale saudita, Hariri telefona al presidente della repubblica libanese, Michel Aoun, comunicandogli le sue dimissioni. Dopo forse un’ora o due Hariri appare in diretta sui network sauditi e da lì annuncia pubblicamente di aver lasciato la guida del governo libanese. La presidenza della repubblica libanese emette un comunicato in cui non solo si annunciano le dimissioni di Hariri, ma si aggiunge in calce che si auspica un suo ritorno in Libano, quasi lasciando intendere che l’ex premier sarebbe addirittura intenzionato a non tornare nel Paese.
Sconcertante, e anche umiliante, un capo del governo che annuncia le proprie dimissioni al presidente della Repubblica per telefono e non si presenta al parlamento ma davanti alle telecamere di un Paese straniero. E lo fa lamentandosi e accusando: «Il mio sesto senso mi dice che alcuni mi vogliono morto. C’è un clima molto simile a quello che precedette l’assassinio di mio padre (nel 2005). Non permetteremo che il Libano diventi l’innesco dell’insicurezza regionale. Le mani dell’Iran dagli affari del mondo arabo verranno recise». Il tono generale del discorso e quest’ultima frase in particolare non sono quelle del linguaggio abituale di Hariri. Più di un commentatore si chiede se Saad Hariri sia veramente libero (cf. per es. Claude El Khal su claudeelkhal.blogspot.pe).
Ma ci sono altre notizie sparse, in questi stessi giorni, che non lasciano sperare molto di buono per la causa della pace in Medio Oriente. Forse la più inquietante di esse è che in Arabia sarebbe in corso una lotta feroce per il controllo dei vertici dello Stato: è di ieri la notizia che a Riad il sempre più potente erede al trono, il principe Mohamed bin Salman (“Mbs” ormai per la stampa internazionale) avrebbe fatto arrestare una cinquantina di dignitari di alto profilo, fra i quali 11 principi e 38 ex ministri. Fra loro anche l’ex principale sostenitore in Arabia di Hariri.
A meno di 24 ore dalle dimissioni del premier libanese, l’ambasciatore saudita a Beirut si è dimesso e il suo successore è già stato nominato. Sempre sabato scorso un missile a medio raggio di tipo scud modificato sarebbe stato intercettato e abbattuto dopo aver sorvolato la capitale saudita: secondo Riad il missile sarebbe stato sparato dai ribelli sciiti houthi, dello Yemen, sostenuti da Teheran. Frattanto, in Siria, le truppe governative di Assad (alleato di Iran e Hezbollah e sponsorizzato dalla Russia) hanno conquistato Deir Ez Zor, l’ultima grande città siriana in mano al Daesh e stanno cercando di completare un “corridoio sciita” che collegherebbe di fatto Teheran con il Mediterraneo.
I curdi con le Sdf (sostenuti da sauditi, statunitensi ed altri) cercano intanto di espandere l’area di Raqqa, che controllano, per creare uno spazio sunnita nella Siria orientale, dove i sauditi pare intendano creare una sorta di dépendence di Riad.
Il “corridoio sciita” sarebbe la vera mosca al naso degli oppositori di Teheran, tanto che si ipotizza una ripresa del cosiddetto “teorema saudita” che piacerebbe tanto ai falchi di Riad (ma è difficile immaginare qualcosa del genere senza un previo avallo statunitense). E qual è questo teorema? Colpire indirettamente l’Iran attaccando e distruggendo Hezbollah in Libano. E questo sarebbe un compito che Tel Aviv attuerebbe volentieri. Non è un segreto, è stato dichiarato esplicitamente più volte dai vertici israeliani, soprattutto ultimamente. Sarebbe una nuova guerra né più né meno di quella siriana degli ultimi anni.
Tutto ciò, però, non tiene conto della presenza di un certo Vladimir Putin. I russi (alleati di Teheran) non molleranno facilmente la presa che hanno stabilito in Siria sostenendo Assad e i suoi alleati sciiti.
Fonte: Città Nuova
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