FONTE: CITTÀ NUOVA
Il governo di transizione che governa il Nord Sudan dal 2019, dopo la caduta del regime di Omar al Bashir, ha firmato il 3 ottobre con gruppi di ribelli un accordo di pace che pone fine a decenni di guerra civile.
In Sudan è stato siglato un accordo di pace che pone fine, si spera, a 17 anni di guerra. Questa firma ufficiale sancisce l’intesa raggiunta alla fine di agosto, dopo un anno di colloqui, tra il Governo di transizione e il Fronte rivoluzionario sudanese. Il potente generale Mohamed Hamdan Dagalo (più noto come Hemedti), vice capo militare del Governo di transizione sudanese, ha firmato questo trattato a nome del Governo di Khartoum. Alla cerimonia della firma, a Jouba, hanno partecipato anche leader regionali e rappresentanti dell’Unione europea e delle Nazioni Unite.
Guidato, sin dalla cacciata di Omar al-Bashir nel 2019, da un Governo di transizione alle prese con una grave crisi economica, il Sudan cerca da un anno la strada per uscire dai numerosi conflitti che soffocano il suo sviluppo economico e la pace sociale. L’accordo promette di integrare i combattenti ribelli nell’esercito nazionale e di delegare parte dell’autorità alle regioni. I leader civili sudanesi sperano anche che questo patto aiuti a rilanciare l’economia del Paese riducendo la spesa militare, che consumava ormai gran parte del bilancio nazionale.
L’accordo concederebbe l’autonomia amministrativa alle province meridionali del Nilo Azzurro, del Sud Kordofan e del West Kordofan, e del Darfur e le forze ribelli sarebbero integrate nelle forze armate sudanesi. Vengono stabiliti accordi anche per l’assegnazione delle proprietà terriere, sui risarcimenti e sul ritorno degli sfollati.
Antonella Napoli, nota giornalista e presidente dell’associazione Italians for Darfur Onlus, sottolinea che «un passaggio importante dell’accordo è quello che prevede che l’Islam non sia più religione di stato e fonte del diritto; condizione richiesta da molti gruppi per l’adesione alla pace e che tiene dentro gli animisti e i cristiani».
Nel 1989 Omar al-Bashir aveva assunto la gestione dell’ex condominio anglo-egiziano, indipendente dal 1956, dopo un colpo di stato militare sostenuto da gruppi islamisti. Era stato eletto presidente nel 2010 e rieletto nel 2015 (con il 94,5% dei voti), nonostante le proteste dell’opposizione. L’11 aprile 2019 era stato congedato dall’esercito dopo quattro mesi di protesta popolare innescata dalla triplicazione del prezzo del pane. Il 17 luglio 2019, soldati e manifestanti avevano firmato un accordo di transizione triennale.
Il presidente estromesso da allora è stato arrestato e condannato per corruzione ed è sotto processo per il golpe che lo ha portato al potere.
Il Governo di transizione sudanese si è impegnato a consegnare al Bashir alla Corte penale internazionale per rispondere alle accuse formulate contro di lui per crimini di guerra e genocidio, e legate al conflitto in Darfur, che ha provocato la morte di 300 mila persone e milioni di sfollati.
Il Sudan si trova in una posizione strategica cruciale, confinando con il Sud Sudan, la Repubblica Centrafricana, il Ciad, la Libia, l’Egitto, l’Eritrea e l’Etiopia, ed affacciandosi inoltre sul Mar Rosso. Prima della secessione del sud nel 2011, era il più grande paese dell’Africa.
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