di Maria Voce
Il 17 settembre di settant’anni fa, mentre l’Italia e l’Europa iniziano faticosamente a rialzarsi dalle macerie della guerra mondiale, avviene a Montecitorio il primo incontro tra Chiara Lubich e il parlamentare Igino Giordani. Un evento che segnerà nel profondo la vita del movimento dei Focolari, di cui Giordani verrà considerato co-fondatore, aprendone le porte a un più fattivo impegno civile e politico di uomini e donne che credono nell’unità della famiglia umana. Per ricordare tale incontro e, soprattutto, per attualizzare e rilanciarne il messaggio di fronte alle sfide dell’attualità, nel pomeriggio di martedì 18, presso i locali della Camera dei deputati, si è tenuto un convegno dal titolo «Il carisma di Chiara Lubich e la politica come “vocazione”», a cui ha partecipato la presidente dei Focolari. Pubblichiamo stralci del suo intervento.
Questo è l’ideale che Chiara porta con sé quando si incontra la prima volta con Igino Giordani in questo stesso Parlamento. A lui racconta semplicemente l’avventura divina iniziata pochi anni prima a Trento, che vede già il sorgere di una nuova comunità cristiana.
Fin dagli inizi le prime focolarine e i primi focolarini si nutrono della luce di questo ideale. Così anche Pasquale Foresi. Così Igino Giordani, che Chiara — pur giovanissima rispetto a lui — alimenta spiritualmente giorno dopo giorno anche attraverso una fitta corrispondenza. Gli scriveva una volta: «Ti mando ’sti fogli per queste parole che formano il Tutto della mia vita e vorrei formassero il Tutto della tua “subito”. Tu sarai il santo che Iddio ti vuole e impregnerai il mondo intero dello spirito d’Unità, quanto più perderai l’Unità per aver solo Gesù abbandonato: per essere Gesù abbandonato».
È stato detto dell’incontro del 17 settembre 1948 qui a Montecitorio. In realtà quella non era la prima volta che Chiara si recava a Roma. C’era già stata nel 1947 e all’inizio del 1948 per incontrare la comunità nascente del movimento. Intanto, però, nel maggio 1949 si apre alla Garbatella il primo focolare a Roma che diventa polo di attrazione per persone di diverse condizioni sociali e anche per personalità del mondo civile ed ecclesiale. Ciò che attrae è il comune desiderio di contribuire alla realizzazione di quell’unità della famiglia umana che Gesù ha voluto portare — per tutti — venendo sulla terra, e quindi di contribuire alla fratellanza universale.
La via privilegiata e insostituibile indicata da Chiara per accelerare questo cammino continua a essere anche oggi un dialogo sostanziato di quell’amore che spinge a capire l’altro fin nel profondo. E per “altro” si intende il fratello che ci passa accanto in ogni attimo presente della vita, ma anche l’altro “popolo”, l’altra “nazione”, sino a penetrare nel suo modo di pensare e di agire, senza cadere nel sincretismo o nel proselitismo. È un amore che esige di non fermarsi ai limiti posti dalla diversità di cultura, di religione, di visione del cristianesimo, di modo di intendere la politica, l’economia, eccetera, ma implica piuttosto la disponibilità anche a perdere qualcosa di noi, perdita che poi ci fa sempre ritrovare una ricchezza più grande. Questo stile di vita suscita l’accoglienza reciproca e apre vie nuove; genera «una rete d’amore»; ci spinge a «costruire una cultura nuova che è la cultura dei diritti umani, la cultura della legalità, la cultura dell’amore, la cultura della vita».
Riferendosi alla strage dell’11 settembre 2001 a New York, Chiara scrive al movimento di tutto il mondo: «Molti di noi hanno avvertito l’esigenza di riflettere a fondo sulle cause, ma soprattutto di impegnarsi per un’alternativa vera, responsabile, decisa, al terrore e alla guerra. È stato, per me, un po’ come rivivere l’esperienza della distruzione e la sensazione dell’umana impotenza nella città italiana di Trento, bombardata durante la seconda guerra mondiale. Ma è proprio sotto le bombe che io e le mie prime compagne abbiamo scoperto nel Vangelo la luce dell’amore reciproco, che ci ha rese pronte a dare la vita l’una per l’altra. È tra le macerie di quella distruzione, nella convinzione che “tutto vince l’Amore”, che è nato il desiderio forte di rendere partecipi di questo amore tutti i prossimi, senza distinzione di persone, gruppi, popoli, e senza considerazione di condizioni sociali, cultura, convinzioni religiose. Analogamente in molti ci chiediamo oggi, a New York come a Bogotá, a Roma come a Nairobi, a Londra come a Baghdad, se sia possibile vivere in un mondo di popoli liberi, uguali, uniti, non solo rispettosi dell’identità dell’altro, ma anche solleciti alle rispettive necessità. La risposta è una sola: non solo è possibile, ma è l’essenza del progetto politico dell’umanità. È l’unità dei popoli, nel rispetto delle mille identità, il fine stesso della politica, che la violenza terroristica, la guerra, l’ingiusta ripartizione delle risorse nel mondo e le disuguaglianze sociali e culturali sembrano oggi mettere in discussione. Da più punti della terra, oggi, sale il grido di abbandono di milioni di rifugiati, di milioni di affamati, di milioni di sfruttati, di milioni di disoccupati che sono esclusi e come “recisi” dal corpo politico. È questa separazione, e non solo gli stenti e le difficoltà economiche, che li rende ancora più poveri, che aumenta, se possibile, la loro disperazione. La politica non avrà raggiunto il suo scopo, non avrà mantenuto fede alla sua vocazione fino a quando non avrà ricostituito questa unità e guarito queste ferite aperte nel corpo politico dell’umanità».
Quando Chiara lascia questa terra, il movimento dei Focolari ha raggiunto centottantadue paesi di tutti i continenti affascinando e coinvolgendo uomini e donne, famiglie, giovani, ragazzi, bambini, sacerdoti, religiosi e religiose di varie congregazioni, vescovi e cardinali. Come è noto, anche cristiani delle più varie Chiese, membri di altre religioni, uomini di convinzioni diverse, politici ed economisti hanno trovato in lei non solo un’autorevole interlocutrice, ma un cuore aperto, una “luce” che ha indicato la strada da percorrere per essere insieme «costruttori di un’umanità nuova», che già dimostra a fatti come la fraternità universale non è un semplice sogno, ma una utopia che si fa storia e che si realizza anche attraverso di noi. Igino Giordani ha creduto in questa utopia fin da quel primo incontro con Chiara il 17 settembre 1948, settant’anni fa. Questa via, questa cultura nuova l’ha profondamente capita, l’ha accolta, e di essa — in profonda unità con Chiara — si è fatto lui stesso promotore a tutti i livelli.
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pubblicato su L’OSSERVATORE ROMANO del 19 settembre 2018
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