L’ex presidente del Consiglio italiano e della Commissione europea, inaugurando i corsi di formazione del centro di ricerca Sophia Global Studies, ha sottolineato come l’Europa unita sia ancora la prima regione al mondo per produzione industriale ed export. La disgregazione, invece, porta impoverimento e fa incidere meno a livello globale. Dal sito dell’Istituto universitario Sophia di Loppiano
Romano Prodi
«Quando perdete la capacità di immaginare il futuro, perdete anche l’ammirazione sul passato»: questo uno dei passaggi nevralgici della prolusione con la quale Romano Prodi ha aperto il corso di formazione “L’Europa delle città e dei cittadini”, il primo promosso dal centro di ricerca Sophia Global Studies, che si è svolto dal 14 al 16 giugno scorso nell’Aula Magna dell’Istituto Universitario Sophia di Loppiano.
Già per due volte presidente del consiglio italiano, nonché presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004, Prodi ha definito l’Europa “impaurita e smarrita” quanto inevitabilmente chiamata a risolvere le lacune e a perseguire rotte di unità su molteplici fronti: da quello economico e istituzionale a quello sociale e umanitario. Prodi, che durante la sua presidenza ha contribuito a varare decisioni storiche come l’adozione della moneta unica europea e l’allargamento dell’Unione a 25 paesi, ha sottolineato come le difficoltà dell’Europa siano coincidenti con la crisi mondiale della democrazia: «spirano desideri di autorità»: dalle Filippine al Pakistan, dal Bangladesh all’Ungheria fino alla Polonia.
Spiega Prodi, «l’Europa si trova come l’Italia del Rinascimento”: le città italiane, continua il professore, fino alle seconda metà del ‘400 erano le prime della classe nel commercio, nell’arte, nella tecnologia e nella scienza. Una volta arrivata la scoperta dell’America non si unirono per costruire nuove caravelle di fronte alla prima globalizzazione, con la conseguenza di “scomparire per quattro secoli dalla carta geografica. I regni di Francia e Inghilterra o Spagna erano imperi, assemblavano galeoni, mentre le piccole città italiane, divise, rimasero fuori dalla prima globalizzazione. Aziende come quelle che ho citato fatturano da sole quanto l’intero PIL tedesco, il più forte d’Europa. Ecco perché il potere degli stati nazionali si mostra sempre più debole a livello globale.
Le trasformazioni e accelerazioni globali, continua Prodi, rischiano di relegare l’Europa all’angolo delle sue incertezze identitarie e, di conseguenza, politico-economiche, finendo nell’ininfluenza rispetto agli equilibri sulla pace e la stabilità mondiale.
Rimarcando la ricchezza dell’eredità europea, il professore ricorda come l’Europa unita sia ancora la prima regione al mondo per produzione industriale ed export. Anche politicamente, ha raggiunto obiettivi straordinari come l’allargamento dei sistemi democratici ai paesi dell’ex unione sovietica secondo volontà popolare. «Qualcuno mi rimprovera ancora questa scelta, ma io – confida Prodi – rispondo che l’alternativa sarebbero state il disordine e l’incertezza. Si guardi a esempio quanto successo in Ucraina». Il legame tra prospettive economiche e politiche è parte integrante della storia dell’Unione. Prodi ricorda l’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl quando, alla domanda sul perché volesse la moneta unica con tanta forza, anche a dispetto di un’opinione pubblica tedesca refrattaria, rispose: «voglio l’Euro perché mio fratello è morto in guerra…». La volontà di unità economica è fondata sulla ricerca di pace e futuro, non certo sulla convenienza finanziaria.
Oggi alcuni passaggi di mancata unione, se non di effettiva disgregazione, rischiano di fare perdere l’appuntamento cruciale con la storia, proprio come accadde all’Italia con “le caravelle”: basti pensare, tra i tanti esempi, al mancato accordo sull’intervento militare in Iraq, o a quello più recente sull’intervento in Libia, o ancora alle trattative quasi personali tra Germania e Grecia in occasione della crisi finanziaria, o infine all’uscita della Gran Bretagna dall’UE.
Sono tutti esempi che hanno un elemento in comune: mostrano poca Europa e molta iniziativa personale delle singole nazioni. Conclude Prodi, ricordando la debolezza del sogno europeo, che trasmette un sentimento di sfiducia, paura e abbandono, avvertito da molte classi sociali, e che deriva non da un “eccesso di Europa”, ma proprio dalla “mancanza d’Europa”. Rilanciare il sogno europeo è oggi una priorità epocale che l’Istituto Universitario Sophia, attraverso le iniziative del centro Sophia Global Studies, continuerà a portare avanti grazie alle sue attività di formazione e ricerca.
Scarica l’articolo in pdf
Scrivi un commento