Fonte: Città Nuova
Ad un anno dalla marcia della pace del 7 maggio 2017 che sollevava la questione della presenza di una fabbrica di bombe (Rwm spa) sul territorio, è stata accolta nella città di Iglesias, in Sardegna, Bonyam Gamal, una giovane yemenita. La donna, attivista dei diritti umani, ha raccontato la storia di una famiglia intera distrutta dalle bombe lanciate dalla coalizione saudita sulla popolazione civile del suo Paese, in un conflitto che l’Onu ha definito come vero e proprio disastro umanitario, con crimini di guerra perpetrati da entrambi le parti. Bonyam Gamal ha parlato di persone e di volti, senza accusare, ma ringraziando per il rapporto possibile tra due porzioni di umanità che, secondo una certa logica, dovrebbero semplicemente ignorarsi.
All’incontro “Sardegna isola di pace”, organizzato dal comitato per la riconversione Rwm, era presente anche la famiglia composta da Giogio Isulu, Daniela Ledda e i loro quattro figli. Non hanno parlato pubblicamente, ma la loro storia spiega è un canto della grandezza della condizione umana. Come accade troppo spesso nel nostro Paese, in pochi mesi il marito, a fine 2016, ha perso improvvisamente un lavoro qualificato, conquistato con anni di dedizione, perché la multinazionale dove era occupato, che produceva componenti refrattari per la siderurgia, ha spostato improvvisamente la produzione in Polonia e Repubblica Ceca.
Giorgio, dopo lo sconcerto iniziale, poteva ricollocarsi, come alcuni dei suoi colleghi, presso la vicina Rwm, ma in quella azienda controllata dalla tedesca Rheinmetall si producono le bombe che vengono sganciate sulla popolazione yemenita e allora la giovane famiglia sarda ha scelto di rifiutare quella opportunità di lavoro.
Secondo alcuni criteri di notiziabilità del mondo dei media, questa vicenda non è interessante. La dignità, non ostentata, di Giorgio e Danila permette di percepire, invece, la novità assoluta e inspiegabile di un movimento nato dal basso che chiede non solo l’interruzione della fornitura delle armi ai Paesi in guerra, ma pretende di ridiscutere e trasformare l’economia di un territorio interessato dalla crisi economica sopraggiunta a quella del settore minerario.
Proprio per riconoscere l’originalità di un percorso di cittadinanza attiva cresciuto in poco tempo perché fondato su solide radici, la rete internazionale della comunicazione Net One ha promosso sabato 5 maggio, nel bel teatro Elettra posto nel centro storico di Iglesias, un seminario su giornalismo e pace secondo il metodo sperimentato nelle precedenti iniziative sparse nel mondo, dalla Grecia passando per la Libano e la Colombia. La proposta, cioè, del confronto con la realtà attraverso un dialogo esigente che va oltre i confini degli addetti della comunicazione professionale.
La presenza dei rappresentati della stampa nazionale e di quella locale ha fatto emergere domande e contraddizioni sul racconto della guerra e la menzogna che l’accompagna, che fanno della verità la loro prima vittima. Ma ha dato anche spazio a coloro che non riescono a restare indifferenti. Come i pochi attivisti rimasti coerenti fin dal 2001, quando si è consumata la conversione di quella fabbrica di esplosivi in luogo di produzione di armi pesanti. C’è qualcosa da esplorare in questa tenace resistenza alla logica della guerra che nasce in terra sarda. Lo si nota, ad esempio, nell’opposizione alle servitù militari che rendono parte dell’isola funzionale alla sperimentazione di nuove armi o teatro di esercitazioni congiunte che preparano a nuove azioni di combattimento.
Il caso Rwm fa emergere l’intreccio di un nodo di responsabilità nazionali e internazionali che non si può delocalizzare e far pesare sulla popolazione dell’iglesiente. Lo ha detto in maniera esplicita il vescovo della diocesi di Iglesias all’inizio della due giorni, aperta dal seminario sulla comunicazione e conclusasi con una marcia lungo un breve tratto dello splendido percorso minerario di Santa Barbara. «La gravissima situazione economico sociale non può legittimare qualsiasi attività produttiva», per monsignor Giovanni Paolo Zedda che ha emesso un comunicato che interpella l’intera Chiesa italiana, radunatasi, ad ottobre del 2017, a Cagliari per le settimane sociali dedicate al lavoro degno, solidale e partecipativo.
E la politica? Esiste quella che nasce dalla sovranità dei comuni, come quello di Iglesias che ha respinto finora l’allargamento della fabbrica di bombe sul suo territorio. Una testimonianza di fedeltà alla Costituzione riconosciuta con un premio assegnato dall’associazione “Città per la fraternità” rappresentata, durante il lungo incontro pomeridiano ricco di testimonianze e contributi artistici, da Stefano Cardinali, già sindaco di Montecosaro nelle Marche. Il senso di questo riconoscimento si coglie nel fatto che a proporlo sia stata la città di Assisi tramite il suo sindaco Stefania Proietti che, assieme al vescovo Domenico Sorrentino, ha anche scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedere un autorevole richiamo al rispetto della legge 185/90, che vieta l’invio di armi ai Paesi in guerra e obbliga a destinare fondi per la riconversione industriale.
Inaspettatamente durante la due giorni dedicata alla Sardegna come “isola di pace”, è anche intervenuto Renato Soru, attuale europarlamentare e già governatore della regione, per ribadire la sua determinazione a favore di una “economia disarmata” per salvare posti di lavoro e togliere di mezzo l’anomalia di una fabbrica di bombe in una terra che ha una vocazione diversa dall’essere una piattaforma logistica della geopolitica della guerra. Un segnale in controtendenza che si accompagna a prese di posizione di altri esponenti politici, come il pentastellato senatore Pino Cabras.
Ma il “metodo Iglesias” impone di non fermarsi agli eventi per procedere con scelte e dati, senza accontentarsi di promesse future.
Come dimostra la storia di Giorgio e Danila che obbediscono alla loro coscienza e fondano, così, il legame sociale più forte di ogni disgregazione. Come l’azione di Lisa Clark, premiata con il Nobel per la pace 2017, assegnato alla rete Ican che chiede di bandire le armi nucleari. Anche lei è stata presente alla due giorni di Iglesias. Ha portato la sua testimonianza, ma ha anche chiesto un banchetto per raccogliere le firme di sostegno alla campagna che vuole smuovere il governo italiano a recedere dall’opposizione al trattato internazionale che recepisce il bando assoluto alle armi nucleari.
Piccoli gesti che esprimono fiducia nell’essere umano, nella capacità di ognuno di dare ascolto alla propria coscienza e dirottare il corso di una storia che sembra già scritta.
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