A Domusnovas, nel cuore della Sardegna, confronto aperto sul futuro del sito che produce materiale bellico: sullo sfondo l’ipotesi della riconversione

Nella foto il momento in cui vengono caricate su un cargo le bombe aeree del tipo "Mk". Le spedizioni avvengono dall’aeroporto di Cagliari ElmasNella foto il momento in cui vengono caricate su un cargo le bombe aeree del tipo “Mk”. Le spedizioni avvengono dall’aeroporto di Cagliari Elmas

Ai tempi della Valsella Meccanotecnica i manager rassicuravano gli operai bresciani: «Le mine servono a difendere il territorio dal nemico». Era l’epoca della Guerra Fredda, quella versione reggeva. Anni dopo scoprirono che non era così. Ma a Domusnovas è diverso. Perché i lavoratori della ‘Rwm Italia’ sanno che le Mk-82 e le Mk-84 sono in gran parte acquistate dalla coalizione saudita che da due anni sta martellando lo Yemen. Il pranzo e la cena della propria famiglia, dunque, dipende in gran parte da quella guerra. I duecento dipendenti della sede italiana della multinazionale tedesca Rwm, sanno cos’è il ricatto della fame: uno stipendio sicuro per assemblare armi da guerra, oppure disoccupati cronici.

«Gli operai non vanno criminalizzati – ha detto nei giorni scorsi don Renato Sacco, coordinatore di Pax Christi –, essi stessi e le loro famiglie sono vittime di questa economia di guerra». Perciò diverse associazioni chiedono un piano di riconversione. E lo fanno con una serie di incontri pubblici a partire da oggi a Iglesias e con una petizione online che in pochi giorni ha raccolto 4 mila firme. «Senza una vera riconversione economica rischiamo solo di fare del facile moralismo – si legge nel testo indirizzato al Capo dello Stato – che scarica il peso della responsabilità politica sulle spalle dei lavoratori della fabbrica del Sulcis Iglesiente, in Sardegna, dove quelle bombe vengono allestite da una società di proprietà tedesca ».

L’appello riporta i dati dell’istituto di ricerche internazionali ‘Archivio Disarmo’ che sottolinea come «l’ultima relazione governativa sulle esportazioni di materiali di armamento nel 2016 conferma la continua ascesa dell’export italiano sui mercati mondiali e in particolare su quelli nordafricani e mediorientali (59%), aree di crisi e di conflitti a noi vicine». Carlo Cefaloni, di ‘Città Nuova’, spiega che «di solito, oltre lo scandalo passeggero, resta la percezione prevalente di non poter far nulla oltre l’indignazione. Invece la realtà del Movimento dei Focolari in terra sarda – ricorda – ha posto l’esigenza di dare una svolta ad un copione già scritto per rimettere al centro un destino diverso e migliore per l’economia del Sulcis, l’area che più di tutte sta subendo in Italia le conseguenze della crisi economica che lascia in mezzo alla strada migliaia di lavoratori con le loro famiglie».

La relazione al parlamento sull’export di armi da guerra non è un compendio di trasparenza. Nel 2015 la Rwm aveva esportato 1.050 ordigni del tipo «a caduta libera». Nel 2016 la produzione è salita fino a quasi 22.000, con un balzo del 1.466%. I destinatari non vengono rivelati ma né la multinazionale tedesca né i vertici della coalizione saudita hanno mai smentito l’esistenza di un contratto di fornitura. Le Nazioni Unite a svariate organizzazioni umanitarie hanno fotografato residui delle bombe ‘italo-tedesche’ in varie città bombardate dello Yemen. Dell’ultimo ordine noto si conosce l’importo: 411 milioni di euro per i modelli Mk 82, Mk83 e Mk84 (circa 18.000 euro per ordigno).

Un dettaglio sovrapponibile a un documento degli azionisti della Rwm (che grazie a questi ordinativi è diventata la terza azienda italiana per export di armi) nel quale si informa che nel 2016 è stato siglato un contratto del valore proprio di 411 milioni con un unico cliente appartenente alla regione ‘Mena’, che sta per Medio Oriente-Nord Africa. «Ascoltando quanto papa Francesco ha detto il 4 febbraio 2017 agli esponenti dell’Economia di Comunione bisogna agire sulle strutture inique che producono vittime e carnefici », insiste la petizione che sta per essere inviata a Sergio Mattarella. «Restare silenziosi o indifferenti vuol dire lasciare interi territori da soli davanti al ricatto tra il poco lavoro assicurato dalle armi e il concorso al macello industriale della guerra». Le Nazioni Unite hanno documentato ripetute violazioni dei diritti umani nel conflitto yemenita, che ha fatto registrare almeno 5 mila morti e 8 mila feriti tra la popolazione civile. L’economia di guerra, però, non segna il passo. Ieri sera si è appreso che Washington sta lavorando per spingere nuovi contratti militari da decine di miliardi di dollari con l’Arabia Saudita.

Negli anni ’90 quando gli operai della Valsella scoprirono che i loro ordigni non erano destinati alla ‘patria’ ma avevano infestato i campi di battaglia del mondo, la consapevolezza cominciò a scavare un fossato tra i lavoratori e la proprietà. Chi se ne andava poteva però bussare alle fabbriche lombarde e trovare un’alternativa. A Domusnovas ancora no.

di Nello Scavo

Fonte: Avvenire.it