Le manifestazioni di piazza nella metropoli cinese hanno bisogno di una lettura che non sia solo emotiva e di “marca occidentale”

di Luigi Butori

Non è facile governare un Paese di un miliardo e 350 milioni di persone: un Paese immenso, con risorse naturali sconfinate e una varietà di popoli, lingue e religioni unica al mondo, frutto di una cultura antica di 5 mila anni. Un Paese che ha sostanzialmente un’altra peculiarità: la convivenza tra i suoi popoli non rappresenta un grave rischio sociale. E questo è sicuramente un motivo per cui la Cina è temuta da altri Paesi: essa gode di una sostanziale unità sociale, civile e politica, un valore anche in termini economici e finanziari. Il mese di luglio ha visto il sorpasso definitivo della sua economia a scapito di quella degli Usa. Analisti politici asiatici hanno commentato questo sorpasso avvenuto in modo pacifico sostenendo che ciò è avvenuto senza scatenare nessuna guerra contro qualche Paese nemico.

 width=Certo, non si possono nascondere i contenziosi (di cui abbiamo spesso scritto su cittanuova.it) tra Cina e Vietnam, col Giappone, le Filippine e Taiwan a proposito di questioni territoriali. Ci sono pure il Tibet e lo Xinijang, spinose e dolorosissime questione relative all’invasione da parte della Cina dei due immensi territori all’Ovest del Paese e dell’attuale egemonia di Pechino su di essi. Sicuramente si tratta di problemi con radici storiche profonde e con aspetti altamente inquietanti, che però in gran parte dell’Asia non vengono recepiti così come vengono presentati dai media occidentali, cioè come gestioni di polizia che schiacciano delle minoranze etniche e linguistiche da parte di Pechino. È questo un argomento che richiederebbe un’analisi lunga e approfondita.

Veniamo agli incidenti di Hong Kong. Perché attirano l’attenzione dei media mondiali? Giovanissimi studenti delle scuole medie si sono aggregati per chiedere più democrazia per Hong Kong. Di cosa si tratta? Hong Kong non ha mai goduto, nella sua storia, di una vera libertà politica, sin dal tempo della colonizzazione. La colonia è sempre stata guidata, in effetti, da un governatore inglese con un parlamento composto principalmente da inglesi ,con alcuni rappresentati cinesi. Oggi il governo della città di Hong Kong gode di uno statuto speciale che mantiene la sua economia intatta, al di fuori di ogni interferenza da parte del governo di Pechino. Quest’ultimo, però, richiede che il governatore sia persona “grata e di fiducia”. I giovani temono che questa persona trasformi poco a poco lo statuto di Hong Kong in senso anti-democratico. In realtà non pochi analisti politici cinesi, ma non solo, credono che l’influenza cinese sia molto meno pesante di quella esercitata dagli inglesi per 99 anni.

Certo: “Occupy Central” è uno slogan alla moda, come “Occupy Wall street”, e l’effetto contagioso può aver giocato: i giovani o giovanissimi di Hong Kong non vogliono essere da meno dei loro coetanei occidentali. Dietro alle manifestazioni di piazza sicuramente ci sono delle spinte democratiche sincere da parte di tanti. Ma va considerato che un processo democratico necessita di tempo e di solide basi civili prima di poter diventare operativo, ci vuole cioè del tempo per trovare un sistema adatto a un tale colosso economico. Inoltre i liceali di Hong Kong non sembrano esprimere le istanze democratiche di milioni di persone.

C’è un altro fattore da non dimenticare nell’analizzare il grande clamore suscitato dalle manifestazioni di Hong Kong, che si paventa possano preludere a una seconda Tienanmen: il Renminbi, la moneta cinese, è attualmente molto forte, tanto che alcuni Paesi asiatici per i loro scambi commerciali non accettano più il dollaro. E Hong Kong continua a essere un formibabile “financial hub” d’indiscussa importanza per tutta l’Asia e anche oltre. Molte multinazionali occidentali hanno ancora, a tutt’oggi, le loro cosiddette “sedi legali off shore” nell’ex colonia, come testimonia il fatto che dal 1997 ad oggi, cioè dalla restituzione alla Cina del territorio, Hong Kong ha conosciuto una sorprendente prosperità finanziaria nonostante la crisi mondiale.

Ciò per cui si manifesta ad Hong Kong è il voler eleggere il proprio governatore senza dover “passare” per un controllo da parte del governo centrale di Pechino. Da un punto di vista della sicurezza nazionale, questa è considerata da Pechino come una richiesta al di fuori di ogni logica politica. Se già Hong Kong gode di tutte le libertà possibili ed immaginabili, apparirebbe logico che il governo centrale voglia avere “un occhio” sull’elezione del governatore di una città che rappresenta uno dei punti più caldi ed importanti del pianeta.

È vero, durante le recenti manifestazioni sono state riscontrate alcune violazione dei diritti dell’uomo, come l’intervento della polizia nell’appartamento di Yoshua Wong, il 17enne attivista riconosciuto come leader della manifestazione, al termine del quale si è giunti alla confisca del suo computer. Il fatto è stato considerato come un vero e proprio attacco alla libertà d’espressione. Tanta gente s’è così “sentita Wong” in un attimo, s’è trovata coinvolta emotivamente in modo diretto, sentendosi con lui oppressa. Wong, dopo qualche ora di prigione, è stato liberato ed ora si ritrova in piazza a guidare i manifestanti. I media occidentali hanno definito l’arresto di Wong come un attacco alle libertà personali dei cittadini di Hong Kong, collegandolo con quanto accaduto 25 anni fa, cioè come già detto con i gravissimi fatti di piazza Tienanmen. Per gli osservatori dei fatti cinesi questo parallelismo appare un’esagerazione, una forzatura escogitata per far crescere l’ostilità nei confronti della Cina e «far uscire allo scoperto il dragone», come ha detto un giornalista statunitense.

fonte: Città Nuova

http://www.cittanuova.it/c/441425/Governare_la_Cina_e_Hong_Kong.html

 di Luigi Butori
fonte: Città Nuova